Identikit. Il disegnatore di incubi
- Autore: Maurizio Lorenzi
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
Riecco MaLo, lo scrittore in divisa. È tornato Maurizio Lorenzi, il poliziotto che scrive. È un altro romanzo poliziesco quello che le edizioni Imprimatur di Reggio Emilia hanno pubblicato nel maggio 2016 col titolo “Identikit. Il disegnatore di incubi” (pp. 294, euro 16,50). Ed è un bel ritorno, quello del bergamasco quarantaquattrenne, dipendente del ministero dell’Interno dal 1993, quando aveva vent’anni, una proposta che piacerà a chi ha apprezzato “Eroi senza nome” (sempre Imprimatur, 2014), antologia tra saggistica e narrativa di storie di modesti ma coraggiosi rappresentanti dei corpi di sicurezza dello Stato, poliziotti delle scorte di Falcone e Borsellino, agenti soccorritori della Stradale, vigili del fuoco. Un libro scritto col cuore, un libro premiato (ha vinto il Molinella 2016 per la saggistica), come del resto quello di cui parliamo, che ha già ottenuto un riconoscimento dalla giuria del Premio letterario internazionale Montefiore.
Maurizio Lorenzi scrive bene, è chiaro, sebbene uno dei suoi sogni dichiarati resti quello di imparare a scrivere ancora meglio. La modestia è una sua qualità.
Racconta cose che conosce, situazioni che ha vissuto, emozioni che ha condiviso con i colleghi e le vittime di episodi criminali, con la gente. Lo dimostra subito, nel romanzare l’esperienza di un altro poliziotto vero, bergamasco come lui, Giovanni Battista Rossi, uno con la mano felice, uno che sa fare ritratti, uno che in Polizia disegnava identikit.
Si parte dal presente, dagli incontri con gli studenti d’arte, da pensionato, per illustrare le tecniche del disegno dei volti di responsabili di azioni criminali e si retrocede al 1981. Dopo il corso presso la Criminalpol, a Roma, è in servizio a Milano, alle prime armi, con la scomoda etichetta di disegnatore prodigio, classificato al primo posto tra i selezionati per il servizio identikit della Scientifica. Per questo, i superiori si aspettano il massimo da lui e i colleghi anziani guardano con distacco il pivello, gelosi della fama di talentuoso che si porta appresso.
È ottobre e solo dal 25 aprile, pochi mesi prima, la Polizia ha staccato le stellette dai baveri. È in vigore il nuovo ordinamento di pubblica sicurezza, sono stati smilitarizzati, le "guardie" ora sono agenti, i brigadieri sono chiamati sovrintendenti e i marescialli ispettori, ma lo stipendio è rimasto invariato.
La prima seria inchiesta del neo poliziotto bergamasco a Milano rivela il modo di scrivere filmico dell’autore. Maurizio Lorenzi non racconta soltanto quello che succede, porta letteralmente i lettori con sé sulla scena. Sembra di sentire sulla pelle l’angoscia del giovane Rossi nel vedere i primi cadaveri, due colleghi per giunta, uccisi in un agguato a Lambrate. E si respira l’angoscia, si avverte il turbamento, si condivide l’affanno dell’agente ventiduenne scampato ai colpi, riparando ferito in un palazzo. Uno dei killer lo ha seguito con l’arma spianata, dicono i testimoni, ma non ha sparato. Strano.
Pagine a perdifiato, perfino chi legge arriverà col respiro corto al momento in cui l’azione descritta tanto bene si placa e subentra il racconto dell’inchiesta, altrettanto abilmente scandita, perché farina del mestiere dell’autore.
Questo libro è un film, una di quelle pellicole anni Settanta, con le scritte sui muri, Sbirri servi dei padroni o PS=SS, con le divise ancora grigioverdi, con le buste paga misere (non è che questo sia troppo cambiato, oggi).
È proprio l’identikit tracciato ascoltando i testimoni che consente di scartare le BR e identificare in uno degli autori degli omicidi un militante dei NAR, terroristi di estrema destra negli anni di piombo.
Rossi ha poi collaborato alle indagini della Scientifica nei casi più famosi di quei decenni, dal rapimento del generale Dozier alla scia di sangue impressa dalla Banda della Uno Bianca dei fratelli romagnoli Salvi (agenti anche loro, due vite criminali quindi, una perchè assassini l’altra perché traditori), alle vili trappole esplosive disseminate dal terrorista solitario del nordest, Unabomber. Sono tutti nel libro.
Ora è in pensione e gira per le scuole d’arte, ricordando che nel corso (riservato a sedici su quasi centomila poliziotti), non avevano smesso di ripetere che la bravura da sola non basta, serve applicazione, impegno, voglia di arrivare in fondo alle cose, ma solo dopo averle comprese.
“Solo così si può allenare il talento e renderlo produttivo, efficiente. Dicevano «Rossi sei bravo, disegni bene, ma se non imparerai ad ascoltare le persone, a entrare in sintonia con loro, il tuo talento non ti servirà a nulla»”.
Che avessero ragione, riconosce di averlo capito solo più avanti: dal racconto dei testimoni va ricavato il disegno di un volto che deve indicare la personalità dell’individuo da ricercare, non può limitarsi ai tratti esteriori. Non solo fisiognomica, anche psicologia. E pure questo è nel libro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Identikit. Il disegnatore di incubi
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