Il 9 che uccide di Vito Franchini

Un numero ricorrente. E inquietante. È il 9.

Sabina Mondello è a capo della Squadra Mobile nella città di Romeo e Giulietta.
Dopo la precedente avventura, nella capitale, aveva bisogno di un nuovo inizio.
Non fa in tempo ad arrivare a Verona che il suicidio di uno studente universitario occuperà le sue giornate.
Però si tratta, appunto, di un suicidio, quindi una pratica veloce da sbrigare. In teoria.
Eh sì, perché non sarà un caso isolato.
Altri suicidi seguiranno e altrettanti biglietti con enigmatiche frasi d’addio.
Nulla sembra legare le vittime, all’apparenza.
Poi eccolo, il colpo di scena.
Il numero 9.
Un numero che torna prepotente in quelle indagini, coincidenze che, in realtà, saranno veri e propri indizi.
Sabina, però, non può risolvere quel mistero da sola, le occorre un aiuto.
E chi meglio di Nardo Baggio, il “predatore di anime”?
Nardo ricomparirà a Verona e la nostra subirà il suo fascino.
E, oltre al fatidico numero, Nardo le indicherà un altro paio di ipotesi.
La prima riguarderà Charles Manson mentre la seconda chiamerà in causa i quattro di Liverpool e le loro canzoni, così colme di significati che sono lì, nero su bianco. Basta saperli afferrare…

Vito Franchini dopo Il predatore di anime ne Il 9 che uccide torna con la determinata Sabina e il suo stile fresco e tagliente come il rasoio più affilato.
Un ritorno desiderato, un secondo capitolo che sconvolgerà le nostre giornate. E le nostre sinapsi.
Personaggi sapientemente dettagliati, uno scenario nel quale sarà facilissimo identificarsi e dialoghi che rasentano la perfezione, ecco le qualità di quest’opera.
Un’opera corposa che però, credetemi, finirà davvero in fretta.
Di solito vi dico di centellinare o divorare le pagine ma in questo caso so che farete come me e le ingoierete in un unico, prelibato boccone.
Una storia dedicata a chi ama i thriller, i romanzi psicologici o le storie ben scritte.
Insomma dedicata a chiunque voglia estraniarsi da una grigia routine e ricaricare un po’ le batterie, prima di tornare alla realtà.
Magari con qualche domanda in più in testa.
Questo è il bello dei libri: possono far passare ore piacevoli ma anche “costringerci” a usare il cervello.
Ed è una grandissima dote.