Il Trio dell’arciduca
- Autore: Hans Tuzzi
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
- Anno di pubblicazione: 2014
E’ uscito nell’aprile del 2014 per Bollati Boringhieri "Il Trio dell’arciduca", una spy story dalle tinte gialle firmata Hans Tuzzi.
Forse non tutti sanno che Rex Stout, creatore di Nero Wolfe, è stato insignito del titolo letterario di “Miglior Giallista del Secolo”. La nomina risale al 2000, nel corso di una assise mondiale della letteratura gialla. Mi avessero invitato, avrei votato per Simenon. La mia preferenza va a Maigret, piccolo borghese parigino, instancabile camminatore di una metropoli vista col binocolo rovesciato delle vie secondarie, dei sobborghi e dei bistrot, dove annusa nel sangue delle vittime, come un antico medico le deiezioni degli ammalati, i sentimenti sin troppo umani che conducono all’abiezione e al delitto.
Sebbene per parte mia ne condivida nolente i tratti sub-clinici della misantropia e mi senta affratellato dalla sua necessitata indolenza, mi piace meno l’eburneo Wolfe, indagatore de relata secondo i metodi della logica aristotelica-deduttiva. Si parva licet esprimere in chiave filosofica le due tipologie di indagini, vedremmo contrapposti l’analitico Wolfe al continentale Maigret. Wolfe è l’erede in forma estetizzante del positivismo di Sherlock Holmes; Maigret un investigatore la cui pipa esala i fumi dell’esistenzialismo della rive gauche.
Ora, se si tenesse una nuova assise tutta italiana per decidere a chi assegnare la palma del migliore giallista in attività non avrei dubbi nel sostenere la candidatura di Hans Tuzzi e la motivazione sarebbe: per avere infuso nel genere giallo inedita linfa letteraria, con l’eleganza dello stile, la ricchezza lessicale, la conversazione colta, la sottile indagine del sé, la ricostruzione magistrale delle atmosfere, l’arguta caratterizzazione dei personaggi, l’intreccio labirintico, la soluzione dell’enigma mai disgiunta dalla pietas per il colpevole, consentendo al lettore razzia di bellezza e di conoscenze.
Del resto Tuzzi si è ormai affermato come un autore di non dozzinale successo, diremmo di culto, se l’espressione non fosse abusata e pagana.
Ma che c’entra Nero Wolfe con "Il Trio dell’arciduca", il più recente romanzo giallo di Tuzzi?
Sembra piuttosto avere a che fare con l’omonima e celebre composizione di Beethoven, che però è del 1811, mentre il romanzo è ambientato nel fatale anno 1914. La musica vi ha sì un suo ruolo, allo stesso tempo marginale e risolutivo, che non è dunque lecito svelare. Il titolo assolve piuttosto all’ufficio evocativo di un’aristocrazia in alta uniforme che avanza a passo di valzer verso la propria dissoluzione. E in quanto a Nero Wolfe, basterà sapere che l’investigatore di questa lontana vicenda ambientata lungo l’asse Vienna-Trieste-Costantinopoli non è ovviamente il contemporaneo Melis meneghino, a cui Tuzzi ci ha abituati, ma uno sconosciuto Neron Vukcic, agente segreto al servizio dell’impero asburgico, guardato in tralice dai suoi diretti superiori perché nato nel recalcitrante Montenegro, e soprattutto perché dipana una matassa che i guerrafondai vogliono rimanga inestricabile nel suo nucleo di sangue.
Ora mettiamo che nell’idioma slavo Neron Vukcic significhi “giovane lupo”, che lupo in inglese si dica wolf, e che wolf sia omofono del Wolfe di Stout, che di nome fa poi Nero: il trio è formato da Tuzzi, Stout e un giovane Nero Wolfe/NeronVukcic. Come a dire: ritratto dell’investigatore da giovane. Intanto Rex Stout fissa in Montenegro i natali di Wolfe. Secondo i più informati, nei primi romanzi Stout aveva fatto nascere il suo personaggio a Trenton, nel New Jersey, e solo dopo si era deciso per il Montenegro. E in Montenegro lo fa ritornare nel romanzo The black mountain. E sapete perché? Per inseguire un agente jugoslavo che ha assassinato il suo più caro amico che si chiamava… Marco Vukcic.
Ritorniamo al "Trio" di Tuzzi. A Trieste un mercante levantino, informatore di Neron Vukcic viene trovato morto. La spia asburgica fiuta l’omicidio e si mette sulle tracce non tanto dell’assassino ma del motivo che sottintende l’uccisione, che si rivelerà un’informazione preziosa che, fantasia permettendo, avrebbe potuto cambiare la storia, se non fosse stata artatamente ignorata dai vertici militari. Durante il viaggio quasi iniziatico da Trieste a Costantinopoli, viaggio lussuoso e rocambolesco, compiuto in travesti dal giovane Neron, viaggio che ha sentori di giardini orientali, di spezie e di belle donne, emerge la raffinata capacità affabulatoria di Tuzzi e la sua arte ritrattistica.
Nel "Trio dell’arciduca" prevale volutamente la tonalità seppia, profezia ex post che la brillantezza dell’epoca stava illividendo come un cielo che minaccia tempesta. A mio avviso è questo il maggior pregio del libro: suggerire il disfacimento in mezzo alle luci, il rumore dei cannoni fra le musiche straussiane, la devastazione delle terre nei pacifici paesaggi pastorali intravisti attraverso i finestrini di un prestigioso treno.
Il Trio di Tuzzi è mimesi, divertimento, atmosfere nostalgiche, ma anche l’avviso tremendo di come la pace sia sempre un equilibrio precario di fronte ai nazionalismi di ieri e di oggi. Chi può dare dunque torto a Neron Vukcic se, alla stregua del Candide di Voltaire, decide di abbandonare il turbolento impero per andare a coltivare il proprio giardino pensile a New York? Perché il nostro non è e non sarà mai il migliore dei mondi possibili. Forse un’orchidea, un amore, un buon libro, una prelibata pietanza possono sollevarci di tanto in tanto dal dolore della condizione umana.
Sì, la letteratura è una specie di felicità, effimera come tutte le altre, e Hans Tuzzi è tra gli scrittori che riesce ad introdurci in molte pagine dei suoi libri in questo provvisorio oblio.
Il trio dell'arciduca
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