Il Vecchio della Montagna
- Autore: Betty Bouthoul
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2022
L’Ordine degli Assassini, setta terribile e leggendaria nata nell’XI secolo, frutto velenoso di una serie di filiazioni interne all’Islam, ebbe un capo fondatore, il persiano Hassan-ibn-Sabbah, così carismatico da guadagnare una fama mitologica già in vita. Nelle cronache del Duecento il suo nome sciagurato tornava sovente, da Marco Polo a Dante, e in seguito riuscì a ingombrare l’immaginario di molti – Nietzsche vi trova incarnata l’epitome dell’oltreuomo (“Nulla è vero, tutto è permesso”, pare abbia detto Hassan prima di morire: figurarsi l’eccitazione del filosofo tedesco); nel ‘900 William S. Burroughs lo chiama in causa in diverse sue opere; e ancora nell’odierno millennio la sua figura ritorna attraverso canzoni e videogiochi di varia fortuna.
Ora per Adelphi torna in libreria un vecchio lavoro di Betty Bouthoul, scrittrice nota nei salotti parigini del secolo scorso, mai prima tradotta in italiano, con il titolo Il Vecchio della Montagna (appellativo che probabilmente gli fu dato da Marco Polo) e la traduzione di Svevo D’Onofrio. L’opera ricostruisce la vita di Hassan, inserendola nel contesto storico del tempo.
Siamo nell’XI secolo, i territori del Medio Oriente ospitano arabi, turchi e persiani, in perenne conflitto fra loro. Le divisioni interne all’Islam sono la norma. Dalla scissione originaria fra sunniti e sciiti, i secondi sconfitti e in minoranza ma capaci di produrre intense e più efficaci manifestazioni di sapere (o potere) esoterico – sufismo a parte, ben distribuito fra sunniti e sciiti - emersero gli Ismailiti, e successivamente la setta dei Nazariti e l’Ordine degli Assassini. Bouthoul mostra come la prospettiva se non mistica, iniziatica, fondata sulla centralità dell’Imam, teologo, maestro, guida ma anche, e qui interessa maggiormente, iniziato alla saggezza divina, fosse pregiudiziale alla nascita di fenomeni come quello narrato nel libro.
Hassan-ibn-Sabbah riuscì a sottomettere migliaia di uomini, decisi a compiere qualsiasi gesto per la sua causa – dominare le regioni interne e limitrofe alla Persia e al mondo islamico. Per aiutarsi nell’impresa Hassan-ibn-Sabbah fece ricorso all’hashish, da cui il nome della setta (Ḥashashiyan in persiano). L’autrice prende la storia dall’inizio, dall’insolita “irrequietezza e una certa scontrosa rusticità” esibite già da adolescente – gli fu amico anche il poeta ‘Umar Khayyam. Prima di diventare il Vecchio della Montagna (quella della fortezza di Alamut, in Iran), i tentativi di Hassan conobbero molti fallimenti, fughe e ripensamenti, fra deserti, cittadelle, castelli, montagne, Egitto, Mesopotamia, Siria. Avvicinò califfi, sultani, gran Visir, deciso fino in fondo a ricusare il fatalismo dell’ortodossia islamica e il principio che tutto sia già deciso e non ci sarebbe possibilità di scelta. Non aveva trascorso invano anni di studio sui greci. La forza sarebbe stata il motore delle sue imprese future, quando avrebbe messo la stessa Persia a ferro e fuoco.
Scoperta in Egitto l’inebriante euforia dell’hashish, intuì che avrebbe potuto addomesticare intere squadre di uomini, prima deliziati da un piacere indicibile e dal miraggio del Paradiso, del quale forniva esempi concreti e materiali, e poi, sottoposti a una durissima disciplina, pronti a qualsiasi efferatezza. Hassan era il primo a dare l’esempio di una vita ascetica, inflessibile a regole che egli stesso stabiliva e che non risparmiarono nemmeno la vita dei suoi figli; i suoi uomini lo seguivano, iniziati a una verità segreta dell’Islam che passava attraverso l’obbedienza (una fiducia) cieca, ricompensata dai giorni in cui gli si consentiva di accedere al giardino segreto. Sperimentavano il Paradiso, per questo erano pronti a prestarsi a qualsiasi atroce delitto, e anche a uccidersi se necessario. Durò fino a quando, molti anni dopo, morto Hassan, vennero spazzati via dai Mongoli.
Il vecchio della montagna
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