Il Vello d’oro
- Autore: Robert Graves
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Longanesi
- Anno di pubblicazione: 2016
La scrittura ha una propria eleganza démodé e denuncia i settant’anni e oltre, ma non sono connotati negativi, considerato che si tratta di un romanzo del secolo scorso, pubblicato in Inghilterra nel 1944. Oggi, dopo la prima edizione italiana curata da Corbaccio nel 1993, “Il Vello d’oro” di Robert Graves torna in libreria e nelle mani dei lettori italiani per i tipi Longanesi, sempre nella traduzione di Francesca Antonini (pp. 536, euro 18,70).
Studioso di mitologia greca, il poeta, saggista e romanziere, Graves (Londra 1895 - Majorca 1986) avvertì come un dovere l’esigenza di raccontare la storia di una ricerca avventurosa e del destino di quanti vi furono impegnati, gli altri Argonauti, che presero il nome dalla nave su cui veleggiavano: Argo. Sono tutti eroi che conosciamo fin da bambini: l’invincibile Eracle, il cantore e timoniere Orfeo, i gemelli Castore e Polluce, l’indovino Linceo, la vergine Atalanta e Anceo, figlio di Poseidone. Senza dimenticare l’appassionata Medea, determinante ai fini dell’impresa. E la sua vendetta atroce.
La vicenda si rifà al ciclo epico di questi campioni, veri supereroi del passato, che accompagnarono Giasone, l’erede spodestato di Iolco, nel viaggio alla riconquista del Vello d’Oro dalle mani del re della Colchide. Omero ed Esiodo conoscevano entrambi il racconto passato di bocca in bocca, ma è stato Apollonio Rodio, nel III secolo a.C., a scrivere il poema argonautico dal quale è nata la narrazione tradizionale dell’impresa.
Il Vello era un oggetto sacro che aveva il potere di addensare le nuvole e di favorire la pioggia anche in estate, a condizione di offrire sacrifici appropriati a Zeus. Si trattava di una pelle intera di ariete, decorata con una frangia intessuta in filigrana d’oro, lo stesso metallo prezioso delle due grandi corna. Era poggiata sulla statua del Dio Ariete, scolpita nella radice di una quercia.
Il racconto di Graves, ricco di simbologie e di collegamenti ai miti, va lungamente avanti, fino alla fine del viaggio ed oltre. Si apprende in conclusione della morte apparentemente cruenta di Orfeo, che costituiva invece un dono, perché frutto della benevolenza della Triplice Dea, il cui potere antico e inquietante era insidiato dai nuovi Dei dell’Olimpo. Una notte le donne ciconi lo fecero a brani durante le orge autunnali in onore della divinità ancestrale matriarcale. Lo smembramento è la ricompensa riservata dalla Dea Bianca a quanti più l’abbiano amata. I brani sanguinanti sono disseminati nei solchi per rendere la terra più fertile e l’anima è accolta sotto la benevola protezione divina.
Sempre in coda, è di grande suggestione un’appendice storica che l’autore offre ai lettori con competente sintesi, precisando il contesto effettivo, quello più attendibile, nel quale si inseriscono le vicende mitologiche. I greci consideravano il viaggio di Giasone e degli Argonauti un evento storico accaduto due generazioni prima della caduta di Troia, che si può fissare ragionevolmente 1200 anni prima di Cristo. Da Iolco, in Tessaglia, l’odierna Volos nella Grecia orientale, la navigazione avrebbe raggiunto la costa georgiana sul Mar Nero, andata e ritorno. Leggenda? Le testimonianze archeologiche che stanno facendo propendere per la storicità dell’assedio di Troia potrebbero aprire scenari di qualche autenticità. Meno credibili diversi episodi disseminati nel racconto epico, non diversamente, dopo tutto, dai romanzi storici di oggi: anche gli autori contemporanei contaminano spesso la realtà con la fantasia.
Alcuni momenti del racconto potrebbero
“sembrare di spirito troppo moderno”.
riconosce lo stesso Robert Graves, ricordando che la civiltà micenea sembra essere stata molto più avanzata di quella omerica. In Grecia ci fu una graduale recessione culturale dopo la caduta di Troia, aggravata dall’invasione dorica. Il codice del pugilato del XIII secolo sembra molto più vicino di quello del XVII; i cretesi erano appassionati della noble art, del tutto differente dalla lotta libera. E anche le tecniche idrauliche utilizzate nelle case erano sorprendentemente più avanzate, come testimoniano le scoperte di Sir Arthur Evans a Cnosso.
“Circonfuso” da un’aura preziosa di mitologia arcaica, il “Il Vello d’oro” dunque è modernissimo, con quella patina di classicità straordinariamente raffinata che Robert Graves ha saputo imprimere. Un velo di antico, per l’avventura del Vello, che non ostacola la lettura e dimostra la modernità di costumi e tradizioni e della cultura greca di quattordici secoli fa.
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