Talvolta alcuni sindacati denunciano che sempre più lavoratori nella sanità sono a rischio di burnout, ma talvolta a molti sfugge il senso di questa affermazione.
Oggi si parla spesso di burnout, ma questo termine non sempre tutti sanno cosa significa e talvolta viene utilizzato in modo inappropriato. Ci sono diverse inesattezze a riguardo. Innanzitutto si scrive burnout e non burn out.
È una sindrome recente, come lo stesso mobbing, ma è sempre esistita: solo che però da qualche decennio le è stato dato un nome e viene diagnosticata. Burnout deriva letteralmente dall’ inglese "bruciato", "esaurito".
Cos’è il burnout? Definizione e significato del termine
Per burnout si intende una sindrome psicologica che colpisce soprattutto i lavoratori che svolgono attività assistenziali e socio-sanitarie, come infermieri, assistenti sociali, medici, operatori psichiatrici: quelle che vengono definite le professioni di aiuto. Talvolta questi lavoratori si sentono svuotati.
Ma il burnout può colpire anche altri lavoratori che sono a contatto col pubblico, come ad esempio impiegati pubblici. È una sindrome caratterizzata dallo stress psicosociale.
Se ne occupano soprattutto gli psicologi del lavoro. Un lavoratore può soffrire di burnout a causa di turni massacranti, della grande quantità di utenti che deve servire, di anni e anni di lavoro troppo impegnativo. Il burnout è la dimostrazione che non esistono solo lavoratori fisicamente usuranti, ma anche professioni psicologicamente usuranti e snervanti.
Il burnout è un esaurimento contraddistinto da apatia, stanchezza, indifferenza nei confronti degli altri, mancanza di motivazione e perdita di coinvolgimento nel proprio lavoro. Chermiss, ad esempio, considera questa sindrome uno stato psicologico di un professionista che prima riversava le sue forze interamente nel suo lavoro e a seguito di stress e difficoltà organizzative successivamente si disimpegna.
Per Maslach il burnout è un tipo di stress dell’operatore, il cui stressor è l’integrazione tra operatore e utente. Il burnout si distingue dal disturbo post-traumatico per il contesto in cui è maturato il disturbo, per il fatto che nel burnout esistono delle fasi mentre nel disturbo post-traumatico esiste un tempo di latenza ma non delle fasi una volta che si è verificata l’insorgenza.
Le fasi del burnout
Le fasi del burnout per Edelwich e Brodsky (1980) sono quattro: periodo di entusiasmo (luna di miele), periodo di stagnazione (carenza di carburante), periodo di frustrazione (fatica, ansietà), periodo di indifferenza e apatia (fase depressiva). Il burnout prevede anche la depersonalizzazione, ovvero un senso di distacco e di estraneità da sé stessi.
Detto in parole povere il lavoratore non ce la fa più, si sente allo stremo delle sue forze e rivela scarsa empatia nei confronti degli utenti del servizio.
Infine secondo Rossel (1998) esiste un tratto di personalità che è correlato alla sindrome (il tipo A: ambizioso, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri, puntuale, aggressivo), mentre invece nessuna caratteristica di personalità è correlata con il disturbo post-traumatico da stress.
Differenze tra burnout e mobbing
Non tutti i lavoratori sottoposti a questo stress occupazionale sviluppano questa sindrome. Esistono delle differenze individuali riguardanti la resistenza e il coping, cioè il modo per fronteggiare lo stress psicosociale.
Nel settore pubblico ad alcuni lavoratori mobbizzati viene talvolta diagnosticata la sindrome del burnout, anche se le diagnosi più frequenti di mobbing in Italia sono il disturbo di ansia generalizzata, il disturbo post-traumatico da stress, la depressione reattiva.
Per quanto riguarda la diagnosi differenziale tra le varie sindromi psicologiche bisogna sempre considerare la durata, l’intensità, la frequenza, il contesto e la storia del paziente. È sempre difficile fare una distinzione tra stress e ansia, ad esempio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cos’è il “burnout”? Un approfondimento sulla sindrome del lavoro
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