Il canto dei lavoratori è un vero e proprio inno alla ricorrenza del 1° maggio. Se dovessimo trovarvi una rappresentazione visiva sarebbe sicuramente Il quarto stato, il quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo custodito nel Museo del Novecento di Milano che raffigura una schiera di lavoratori in marcia; l’artista lo dipinse in ricordo dei sanguinosi moti milanesi del 1898. Era un quadro intriso di socialismo umanitario, lo stesso sentimento battagliero che attraversa le parole solenni del Canto del lavoratori.
Il testo è conosciuto anche come l’Inno dei lavoratori, fu scritto dal politico socialista Filippo Turati nel 1886 e musicato da Amintore Galli (il nome del compositore sarebbe stato reso noto soltanto tempo dopo, dopo un’iniziale attribuzione erronea a Zenone Mattei, Ndr). Turati aveva solo ventotto anni quando lo scrisse, dietro sollecitazione di Corrado Lazzari, anche lui milanese e aderente al vecchio partito operaio.
Il canto dei lavoratori sarebbe stato pubblicato il 7 marzo sul giornale La Farfalla e, subito dopo, su Il Fascio Operaio. Fu però censurato cinque giorni prima della sua esecuzione ufficiale, in nome del mantenimento dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza.
Sei anni dopo sarebbe nato il Partito socialista, ma il germe originario del Partito era già custodito lì, tra le righe di quell’inno militante dove risplendeva alto il Sol dell’avvenire che avrebbe illuminato il nascente Partito dei lavoratori italiani (PSI).
Il testo di Turati sarebbe diventato lo specchio in cui si sarebbero riflessi orgogliosamente i lavoratori, il loro stemma da tenere alto e nel quale riporre le speranze in un domani migliore. Fu cantato per la prima volta Milano il 28 marzo 1886 nella festa proletaria del P.O.I. (Partito Operaio Italiano, Ndr) che all’epoca vedeva rappresentati soltanto gli operai della città e della campagna. Il ritornello parlava, non a caso, del “riscatto del lavoro” e in quelle parole già palpitava la componente riformista che avrebbe apportato al Partito il giovane Filippo Turati. Il verso “Noi vivremo del lavoro” inoltre anticipa il primo articolo della Costituzione italiana e, di fatto, l’avvento dell’Italia democratica.
Sarebbe divenuta una canzone immortale, intonata ancora oggi durante le manifestazioni dei lavoratori. Il canto dei lavoratori di Filippo Turati sarebbe stato censurato dai successivi governi del Regno d’Italia, incluso il governo fascista di Benito Mussolini che, di fatto, avrebbe trasformato la Festa del 1 maggio in un elogio alla mistica imperiale del fascismo. Il 9 aprile del 1923, con un decreto legge, Mussolini abolì la Festa dei lavoratori accorpandola alla Festa nazionale fascista del Natale di Roma. Per l’istuzione della Festa nazionale dovremo attendere il maggio 1947.
Il canto dei lavoratori di Turati assume quindi una duplice valenza: sociale e politica. Ci ricorda che la festività del 1 maggio è una conquista, così come lo è il lavoro inteso proprio nella sua valenza di diritto democratico.
Scopriamone testo e analisi.
“Il canto dei lavoratori” di Filippo Turati: testo
Su fratelli, su compagne,
su, venite in fitta schiera:
sulla libera bandiera
splende il sol dell’avvenir.Nelle pene e nell’insulto
ci stringemmo in mutuo patto,
la gran causa del riscatto
niun di noi vorrà tradir.Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.La risaia e la miniera
ci han fiaccati ad ogni stento
come i bruti d’un armento
siam sfruttati dai signor.I signor per cui pugnammo
ci han rubato il nostro pane,
ci han promessa una dimane:
la diman si aspetta ancor.Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.L’esecrato capitale
nelle macchine ci schiaccia,
l’altrui solco queste braccia
son dannate a fecondar.Lo strumento del lavoro
nelle mani dei redenti
spenga gli odii e fra le genti
chiami il dritto a trionfar.Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.Se divisi siam canaglia,
stretti in fascio siam potenti;
sono il nerbo delle genti
quei che han braccio e che han cor.Ogni cosa è sudor nostro,
noi disfar, rifar possiamo;
la consegna sia: sorgiamo
troppo lungo fu il dolor.Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.Maledetto chi gavazza
nell’ebbrezza e nei festini,
fin che i giorni un uom trascini
senza pane e senza amor.Maledetto chi non geme
dello scempio dei fratelli,
chi di pace ne favelli
sotto il pie dell’oppressor.Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.I confini scellerati
cancelliam dagli emisferi;
i nemici, gli stranieri
non son lungi ma son qui.Guerra al regno della Guerra,
morte al regno della morte;
contro il dritto del del più forte,
forza amici, è giunto il dì.Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.O sorelle di fatica
o consorti negli affanni
che ai negrieri, che ai tiranni
deste il sangue e la beltà.Agli imbelli, ai proni al giogo
mai non splenda il vostro riso:
un esercito diviso
la vittoria non corrà.Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.Se eguaglianza non è frode,
fratellanza un’ironia,
se pugnar non fu follia
per la santa libertà;Su fratelli, su compagne,
tutti i poveri son servi:
cogli ignavi e coi protervi
il transigere è viltà.Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
“Il canto dei lavoratori” di Filippo Turati: analisi e commento
L’autore, Filippo Turati, in seguito si sarebbe vergognato di questa sua composizione, definendola un “peccato giovanile poetico”. Forse il pentimento di Turati era legato al fatto che fu a lungo processato per quei versi, definiti “incitanti all’odio di classe”; mentre naturalmente non era quello lo scopo dell’Inno dei lavoratori che cantava sì la rivoluzione, ma in senso democratico. Sorridendo, Turati aggiungeva che l’unica accusa che lui davvero, come autore, si meritava era quella di essere stato un cattivo poeta; naturalmente stava screditando il valore, indubbiamente anche letterario, della sua opera.
Il “riscatto del lavoro” propugnato da Turati non era un inno alla lotta, ma alla libertà che veniva appunto, nel testo, definita “santa”. Ricorrevano tra le righe gli stessi riferimenti alle parole che avevano animato la Rivoluzione francese e, dunque, la rivolta del popolo affamato: libertà, uguaglianza, fratellanza, valori rivoluzionari e umani che avrebbero ispirato anche l’Età dei Lumi.
Nel testo del Canto dei lavoratori il socialista Turati ribadiva tutti questi concetti, sottolineando che “uguaglianza non è frode”, l’uguaglianza non è un inganno e “fratellanza non è ironia” quindi è lecito battersi in nome della “santa libertà”.
Ricorre inoltre la parola Sol dell’avvenire (ripresa anche nel recente film di Nanni Moretti), che sarebbe stata la metafora più famosa del socialismo, attribuita a Karl Marx e ripresa da Giuseppe Garibaldi per spiegare l’adesione alla Prima internazionale, era l’anticipo di un cambiamento e racchiudeva il germoglio della speranza in un domani migliore.
La battaglia incitata da Turati era, in realtà, la rivalsa del più del debole sul più forte: le parole dell’inno davano speranza agli oppressi, agli schiavi, agli uomini e alle donne che erano stati schiacciati dai piedi dei potenti come formiche. Di quelle piccole e laboriose formiche, Filippo Turati fece un esercito in marcia, compatto, unito e indivisibile. I lavoratori dell’Inno sono gente del popolo, gente onesta cui è stato sottratto il pane; il Canto dei lavoratori univa in un’unica voce il proletariato ai lavoranti agricoli e ai contadini, ciò che li accomunava era il fatto di essere sottomessi ai cosiddetti Padroni e Signori. I poveri non sono servi, scriveva Filippo Turati in una delle ultime strofe dell’Inno; ancora una volta il richiamo era alla libertà che univa tutti gli uomini, giovani e vecchi, poveri o ricchi, sani o malati, in un unico abbraccio democratico.
Il padre del partito socialista nel lontano 1886, in epoca pre-fascista, ci stava già dicendo con sorprendente anticipo che nessun uomo deve essere sottomesso a un altro uomo e che il sol dell’avvenire dello Stato democratico sorgeva alto in lontananza e illuminava la marcia degli uomini che camminavano fianco a fianco, tutti uguali e fratelli nel cammino della vita.
L’unione tra lavoro e democrazia sarebbe stata inscritta nella Costituzione italiana entrata in vigore il 1 gennaio del 1948. Tra i padri costituenti spiccavano i leader dei principali partiti antifascisti: Alcide de Gasperi, Palmiro Togliatti, Giuseppe Saragat, Bernardo Mattarella (padre di Sergio Mattarella, attuale presidente della Repubblica) e Piero Calamandrei, l’autore di un altro celebre inno alla libertà: Lo avrai camerata Kesselring, il canto partigiano divenuto il motto della giornata della Liberazione del 25 aprile. La festa nazionale dei lavoratori abolita da Mussolini era tornata a essere celebrata un anno prima: il sol dell’avvenire si profilava all’orizzonte, sorgeva insieme alla nuova alba della democrazia italiana che rimetteva la sovranità nelle mani del popolo.
Il primo articolo della Costituzione era proprio dedicato al lavoro, che Filippo Turati aveva solennemente cantato nel suo inno come principio fondante della libertà e dell’uguaglianza:
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Il canto dei lavoratori di Filippo Turati aveva anticipato di oltre sessant’anni l’articolo fondante della nostra Costituzione. L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro dei suoi cittadini. Nel “riscatto del lavoro” propugnato nell’inno era già contenuto il dovere della resistenza, seme del futuro repubblicano.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il canto dei lavoratori” di Filippo Turati: testo e analisi dell’inno da leggere per il 1 maggio
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Festa del lavoro (1 maggio)
Lascia il tuo commento