Il canto del profeta
- Autore: Paul Lynch
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: 66th2nd
- Anno di pubblicazione: 2024
“La sera è scesa e lei non ha sentito bussare… apre la porta e vede due uomini dietro il vetro della veranda, due forme senza volto nel buio”.
Con questa sassata si avvia il corpo a corpo tra la resilienza psicologica del lettore e l’urlo di Lynch, appeso sull’orlo del baratro, riprodotto ne Il canto del Profeta di Paul Lynch (Prophet Song, trad. di Riccardo Duranti, 66thAnd2nd, 2024) vincitore del Booker Prize 2023.
Nell’Irlanda di una stagione indefinita, le “vite-non-vite” delle persone galleggiano nel magma eruttato da un totalitarismo di destra, sotto il cui tallone finisce la famiglia dublinese Stack, di cui si raccontano le vicissitudini. Larry Stack, del sindacato degli insegnati, è ingoiato dalle fauci della macchina del totalitarismo e sparisce senza che si riesca neppure a capire dove sia finito. Da quel momento la vita della moglie, Eillish, e dei loro quattro figli, cambia radicalmente e comincia un’odissea burocratica tra le mura di gomma del labirinto edificato tramite i Poteri di Emergenza approvati dallo Stato.
“Signor Stack, sarà senz’altro a conoscenza della legge sui Poteri di Emergenza che è entrata in vigore a settembre per rispondere alla crisi che stiamo affrontando, una legge che prevede poteri e doveri supplementari per l’USNG al fine di mantenere l’ordine pubblico, perciò capirà senz’altro il nostro punto di vista: il suo comportamento sembra incitare all’odio contro la Stato, sembra disseminare discordia e disordine”.
Come Stack, spariscono senza lasciare traccia numerosi semplici cittadini non schierati con il potere, mentre nell’azienda dove Eillish lavora come biologa, s’avvia un’epurazione che spingerà la donna al licenziamento. Intanto, in virtù di una presunta – ma non spiegata – emergenza nazionale, i poteri della magistratura sono stati neutralizzati e la polizia di partito agisce al di là del bene e del male, oltre ogni giudizio etico o normativo; il fatto che una milizia politica divenga più potente delle normali forze di polizia, peraltro, è una delle caratteristiche che, secondo Hannah Arendt (“Le origini del totalitarismo”, 1951), connota l’instaurarsi di un potere illiberale.
In un incubo notturno Eillish ha la visione esatta del senso della diatriba tra ragione e natura, con le democrazie liberali trincerate dietro la linea del logos e le dittature asserragliate al riparo della forma:
“Lei usa questa parola, diritti, come se capisse la parola diritti, mi faccia vedere quali diritti sono innati all’uomo, mi faccia vedere su quale tavola sono scritti, dove la natura ha deciso che sia così… i diritti di cui parla non possono essere verificati, sono finzioni decretate dallo Stato e spetta allo Stato decidere in che cosa credere o non credere secondo le proprie esigenze”.
Non c’è nessun diritto innato all’Uomo e basato sul logos, tutto è dentro la Stato, niente è al di fuori, ciò che non è nello Stato è contro di esso! Siamo di fronte all’asserzione più netta del totalitarismo!
Quando prende piede una forma di resistenza nei confronti del regime, il primogenito dei Stack si unisce ai dissidenti, contro il parere della madre, ed entra nella latitanza senza che se ne sappia più nulla.
Infine, l’altro figlio durante un bombardamento è ferito al cranio da una scheggia; con infinite peripezie Eillish lo porta in ospedale da dove scompare ingoiato dal potere che, come un orco, lo prende in pugno e lo divora: la madre lo ritroverà all’obitorio con visibili sintomi delle torture subite.
Nel frattempo la guerra civile spinge l’Irlanda al collasso: scuole e negozi chiudono, i generi alimentari scarseggiano, per strada si spara.
A questo punto, ridotta solo a tre unità, la famiglia Stack s’arrende e accetta l’aiuto della sorella di Eillish, che vive in Canada, per uscire dall’Irlanda. Tuttavia, anche il viaggio verso la nuova vita è un’odissea piena di pericoli, densa di persone senza scrupoli che speculano sulle traversie dei profughi.
Il libro si chiude con Eillish, la figlia Molly e il piccolo Ben di fronte alla vita nuova, rappresentata dalla parusia dell’infinito:
“… in mare, dobbiamo andare in mare, il mare è la vita”.
Così l’esistenza ridiviene possibile, tuttavia la famiglia lascia l’Irlanda e campo libero alla dittatura: qui si pone un aspetto chiave che pervade tutto il libro, si deve cercare di schivare il pericolo, come cerca di fare Eillish, o combattere il sistema, come fanno Larry e i loro figli? La dinamica e gli accadimenti dei protagonisti - il marito e il primogenito scomparsi, il secondogenito morto - suggerirebbero la prima soluzione, una forma di “addio alle armi” che mette l’interesse privato sopra quello etico, metafisico, della libertà.
Il linguaggio è tra gli aspetti più significativi dell’opera, vi sono richiami a William Faulkner e, soprattutto, a McCarthy, ma i riferimenti ai “padri nobili” sono ibridati dalla personalissima scrittura di Lynch: i dialoghi senza segni di interpunzione – in questo ricorda più il Saramago del Memoriale del convento(1982) - l’assenza degli “a capo” ma soprattutto l’utilizzo del tempo presente che rapprenda la storia come articolarsi in un eterno “adesso”.
Per molti aspetti Il canto del profeta, affresco di una distopia, richiama 1984 di Orwell (1949), soprattutto per quanto concerne il rigetto della razionalità: nel libro di Orwell l’unica forma di pensiero ammissibile è il così detto bis-pensiero (Doublethink) che consiste nell’accogliere come giuste affermazioni tra loro contraddittorie, ciò eserciterebbe, nella opinione del Grande Fratello, a fingere di non riconoscere le aporie presenti nella propaganda del Partito.
Come in 1984 così ne Il canto del profeta non si mette in scena la genesi del regime.
Nel libro di Lynch, apprendiamo che la destra estrema governa da circa due anni quando vengono promulgate le leggi che potremmo definire, con Mussolini, fascistissime. Probabilmente se l’occhio dell’autore si fosse soffermato sulle radici dell’estremismo di destra, sulle cause culturali e socio-economiche - che sempre si richiamano alla crisi, al tramonto dell’Occidente – l’opera avrebbe offerto una maggiore profondità d’analisi, invece ci si limita a mostrare il totalitarismo in opera, peccato!
Il libro è, in ogni caso, di un’attualità spaventosa: si pensi alla concentrazione dei poteri sull’esecutivo, in virtù di una qualche proclamata emergenza, non definita, che richiama tanta vulgata dell’attuale propaganda di destra e i disegni legislativi di spostare l’asse del bilanciamento tra poteri, chiave di volta del liberismo democratico, verso il Primo Ministro.
Chiudo con la bellissima frase di Brecht riportata in esergo:
“Nei tempi bui canteremo ancora? Sì, canteremo ancora. Dei tempi bui”.
E così sia!
Il canto del profeta
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Un libro perfetto per...
a chi sia interessato a una forma letteraria che preveda, anche, una riflessione sui temi di storia e di politica.
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il canto del profeta
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