Il comune senso del pudore
- Autore: Marta Boneschi
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2018
In principio furono un serpente e una mela. Furono anche Adamo & Eva che ci cascarono come polli. Stando a quanto si racconta, in un Eden stra-perfetto la vergogna era un concetto inesistente: si andava a zonzo senza curarsi delle pudenda on air come nemmeno il più spregiudicato dei nudisti a venire. Neanche il tempo di mandare giù un boccone del frutto proibito e per i nostri avi le cose cambiano. Di brutto: Adamo & Eva si accorgono di essere nudi e per coprirsi alla meglio (non certo per il freddo, che non era ancora stato creato) si danno da fare con le foglie di fico (dicitur). La favoletta sacra starebbe a dimostrare come il senso del pudore ce lo portiamo dentro ab origine. Una specie di senso innato, un marchio di fabbrica derivante dall’Eden più ancora che dalle stelle. La storia del mondo, con più pragmatismo, racconterà tutta un’altra storia. Racconterà come il senso del pudore si evolva e/o si involva in progress, a seconda dei costumi e/o delle morali e/o delle latitudini geografiche che si passano il testimone sulla scena sociale.
Come fa notare la storica Marta Boneschi nel suo saggio di recente pubblicazione, “Il comune senso del pudore”, Il Mulino, 2018 :
Alla domanda ‘Che cos’è il senso del pudore?’ si trovano oggi risposte multiple. E’ una regola culturale. No, è un fenomeno istintuale. Cambia con le mode. No, cambia con la morale. Si tratta di una difesa della sfera intima. No, si tratta di un modo di conformarsi alle norme della società (…) In tempi di rapidi cambiamenti, come quelli che segnano il Ventunesimo secolo, il pudore pare travolto da un turbine. Non ci si vergogna di mostrarsi nudi in un video, in un selfie, in tv. Ci si vergogna, caso mai, di non essere conformi ai canoni della moda, alla taglia 40, si nascondono l’addome cicciottello e le ‘maniglie dell’amore’ ma non le natiche o il pene. Non ci sono remore a filmare il proprio amplesso coniugale o extraconiugale, purchè somiglia quello di Kim Basinger e Mickey Rourke nel film 9 settimane e ½.
Una luminosa inquadratura in campo lungo dei costumi attuali, non trovate? Acuzie di una dicotomia che ha tagliato in due l’atteggiamento pudico/impudico dei secoli: da un lato chi stigmatizza (attraverso chiesa, morale, stato, censura), dall’altro chi liberalizza incurante delle possibili ricadute ontologiche e peda-psicologiche. In altre parole: il comune senso del pudore è stato inquadrato - riletto, adottato/rigettato, strumentalizzato - nei secoli dei secoli attraverso l’oscurantismo o l’impudicizia estremi. Tertium non datur, quasi mai. Purtroppo.
Attraverso lo studio degli ambiti più disparati (storico-sociali, in primo luogo), questo saggio di Marta Boneschi restituisce insomma la parabola diacronica di un Novecento, in materia di pudore ideologicamente fratto: reazionari V/S libertari sui crinali abusati di peccato e libero arbitrio, colpa e affrancamento. Rivolgendoci ai nostri giorni, senza più nemmeno Adamo ed Eva (progenitori decisamente sconsiderati) cui addebitare la colpa della nostra caduta (in basso) nel mondo. Saggio denso, sapido e scorrevole al contempo.
Il comune senso del pudore
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