È da poco in libreria Il console (Guanda 2015), romanzo storico di Marco Vichi. Abbiamo intervistato l’autore toscano che ci dichiara:
“Scrivere è un po’ come tirare le reti, non sai mai quali e quanti pesci hai pescato. Accetto volentieri il rischio”.
Il suo sito internet è www.marcovichi.it.
Marco Vichi è nato nel 1957 a Firenze e vive nel Chianti. Presso Guanda ha pubblicato i romanzi: L’inquilino, Donne donne, Il brigante, Nero di luna, Un tipo tranquillo, La vendetta, Il contratto, La sfida; le raccolte di racconti Perché dollari?, Buio d’amore, Racconti neri; la serie dedicata al commissario Bordelli: Il commissario Bordelli, Una brutta faccenda, Il nuovo venuto, Morte a Firenze (Premio Giorgio Scerbanenco – La Stampa 2009 per il miglior romanzo noir italiano), La forza del destino, Fantasmi del passato; il graphic novel Morto due volte, con Werther Dell’Edera. Ha inoltre curato le antologie Città in nero, Delitti in provincia, È tutta una follia, Un inverno color noir.
- “Bona te Venus iuverit, quoniam palam quod cupis cupis et bonum non abscondis amorem”, “Venere sarà dolce con te perché ciò che tu vuoi lo vuoi alla luce del sole e il tuo amore non lo nascondi a nessuno”. Per quale motivo ha posto come esergo del volume un verso di Catullo?
Quei versi hanno un senso forte all’interno del romanzo, perché il protagonista fa il contrario, cioè nasconde il proprio amore, soprattutto a se stesso, e dunque quelle parole lo turbano e lo mettono a nudo.
- “Dopo la mia rapida ascesa agli onori dell’Impero...”. Marco, chi è il protagonista del Suo nuovo libro e qual è il suo cursus honorum?
Il console del romanzo, di cui non sappiamo il nome, appartiene a una famiglia patrizia romana imparentata alla lontana con l’imperatore Tiberio, e dopo essere stato per anni governatore in Samaria, la sua ascesa politica culmina appunto con la carica di console. È un uomo che ha passato i settant’anni, riflessivo e saggio, sincero con se stesso, che un bel giorno sente la necessità di scrivere alla sorella Drusilla (molto più giovane di lui, che ormai da anni vive nella lontana Britannia) una lunga lettera in cui le racconta una notte di trent’anni prima, vissuta a Capri nella Villa Jovis di Tiberio, in compagnia di una schiava giudea, Lena. Una lettera che serve a fare chiarezza sul turbamento che per anni è rimasto sepolto nella sua memoria.
- L’incontro con la schiava bruna Lena che proveniva “dalla lontane sabbie” della Giudea rappresenta una pietra miliare nella vita del console?
L’incontro con la schiava Lena è il fulcro della lettera, e dunque del romanzo, ma offre al console anche la possibilità di affrontare, con la spietatezza della vera sincerità, il proprio passato e le proprie debolezze, di riflettere su argomenti per lui importanti come la vecchiaia, la giustizia, la schiavitù e altri ancora. Insomma, la lettera alla sorella Drusilla è per lui l’occasione di mettere ordine nei ricordi e nei pensieri: una sorta di bilancio esistenziale, che ovviamente non potrà essere definitivo.
- “Finché un giorno giunse in città un uomo” dai capelli color del sole che “parlava alla gente di bellezza e giustizia”. Perché “l’uomo del miracolo”, con le sue predicazioni, era considerato pericoloso per i Romani anzi portatore di “un morbo contagioso”?
Non vorrei dire troppo su questo “uomo”, per non togliere la sorpresa agli eventuali lettori, ma certamente i cristiani sono stati una sorta di virus sconosciuto che si è insinuato nell’Impero. Comunque all’inizio Roma non era troppo preoccupata di questa nuova setta religiosa (nata nell’ambito del giudaismo, ma spesso avversata dalle altre sette giudaiche), e lasciava ai cristiani la libertà di celebrare i loro riti misteriosi, ma ciò che non ammetteva era che non sacrificassero agli dei, poiché significava attirare sventure sull’impero.
- “Gli ultimi sulla terra sono i primi, agli occhi del mio amato Gesù”. Il patrizio intuisce che quel mondo ordinato e pragmatico costruito dall’Impero Romano è ormai agli sgoccioli, perché “sono le passioni a sovvertire il mondo, non la spada”. Ce ne vuole parlare?
L’Impero era attrezzato per sconfiggere e sottomettere qualsiasi esercito nemico, ma non per affrontare il morbo oscuro di una visione della vita completamente diversa, che opponeva l’Amore alla Potenza (al di là dell’evoluzione dei secoli successivi, che dimostra come l’uomo sia un grande alchimista negativo, capace di trasformare l’oro in fango).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il console: intervista a Marco Vichi sul nuovo romanzo
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