Il figlio
- Autore: Philipp Meyer
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2014
“Il figlio” (Einaudi, 2014) è il secondo attesissimo lavoro di Philipp Meyer, autore del bel romanzo “Ruggine americana” (Einaudi, 2010).
Il corposo volume di oltre cinquecento pagine è ambientato in Texas ed è completamente focalizzato sulla storia della famiglia McCullough. Le vicende sono narrate da voci distinte, a capitoli alternati, proprio come in “Ruggine Americana” (e in Franzen):
- 1. Eli McCullogh (nato nel 1836), detto anche “il Colonnello”: è il fondatore della stirpe e narra in prima persona la sua adolescenza vissuta in un accampamento indiano, a seguito dello sterminio della sua famiglia proprio da parte dei Comanche.
“Mi hanno profetizzato che sarei vissuto fino a cent’anni e siccome li ho compiuti non vedo perché dovrei dubitarne. Non morirò da cristiano, ma il mio scalpo è intatto e se esiste un terreno di caccia eterno, lì sono diretto”.
Eli (o Tiehteti, il suo nome indiano) è impavido, orgoglioso, sincero e amante della natura: qualità intrise nel suo carattere ma anche amplificate dall’aver vissuto in una tribù nomade di pellerossa. I suoi racconti sono i più intensi e coinvolgenti dell’intero romanzo.
“A quei tempi la mente umana era aperta, coglieva ogni momento, ogni sussulto; perfino quelli come mio fratello erano in armonia con le leggi naturali. Oggi l’uomo vive dentro una bara di carne.”
- 2. Peter McCullogh (nato nel 1870), primogenito di Eli che tuttavia è esattamente l’opposto del padre: è un mediatore insicuro, un marito infedele, un latifondista incurante dei suoi beni. Il centro dei suoi racconti verte sul massacro di una famiglia di tejanos, vicini dei McCullogh, a cui sopravvive solamente una ragazza di cui poi lui si innamorerà scatenando l’ira del padre.
Violenza, ferocia ed eroismo sono i temi emergenti nei diari di Peter, scritti dal suo stesso pugno:
“Se guardo indietro ai miei quarantacinque anni non vedo nulla di lusinghiero – quella che mi pareva un’anima somiglia più a un nero abisso – mi sono lasciato condizionare dagli altri. Se chiedete al Colonnello, sono il figlio peggiore che abbia avuto: ha sempre preferito Phineas e perfino il povero Everett. Questo diario sarà l’unica testimonianza autentica della nostra famiglia”.
- 3. Jeanne Anne McCullogh (nata nel 1926) è la pronipote di Eli che rinsavisce i beni di famiglia investendo coraggiosamente sul petrolio in una terra completamente diversa da quella conquistata dal suo amato bisnonno: non più selvagge mandrie di bisonti e sterminate praterie, ma sporchi pozzi petroliferi e sterpaglie infestanti.
“Era stata brava. Aveva creato qualcosa dal nulla. La durata della vita umana era raddoppiata, senza petrolio in ospedale non ci arrivavi, le medicine che prendevi non si potevano produrre, il cibo che mangiavi non arrivava in negozio, il trattore del contadino non usciva dal fienile.”
Jeanne, tuttavia, sul finire dei suoi anni si sente incompleta, insoddisfatta:
“Le cose che li rendevano felici non contavano niente per lei. Lei era un residuo di un’epoca, forse, come il suo bisnonno. Ma non era vero neanche questo. Non era affatto come lui. Le era mancata l’immaginazione, aveva rincorso solo ciò che vedeva, avrebbe potuto fare di più”.
Philipp Meyer ha creato una complessa struttura narrativa, ricca di dettagli e di sfumature, con un finale imprevedibile. Molto belli i racconti di Eli a contatto con i Comanche e altrettanto affascinanti le ambientazioni paesaggistiche di quell’America ormai scomparsa.
La lettura appare, tuttavia, talvolta un po’ lenta e spesso occorre ricorrere all’albero genealogico dei McCullogh riportato all’inizio del primo capitolo.
Forse la definizione del “miglior romanzo americano di questo secolo fino ad oggi” stilata dal Bookseller è un poco eccessiva: personalmente la tramuterei in un “romanzo avventuroso sulla frontiera scomparsa della vera America”.
Il figlio
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