Il fiume
- Autore: Marco Lodoli
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2016
Marco Lodoli esce con un nuovo romanzo, “Il fiume”, tutto romano, il cui titolo richiama il Tevere, luogo ideale di molti, anche recenti libri che mostrano come il fiume che attraversa la città sia diventato una sorta di luogo mitico in cui si rispecchiano le ansie e le irresolutezza di una società sempre più incerta e problematica: penso a “Tevere” di Luciana Capretti, a “Con il sole negli occhi” di Elfriede Gaeng, a “La vita in tempo di pace” di Francesco Pecoraro, a “E in mezzo il fiume” di Sandra Petrignani: storie e letture diverse, a cui Marco Lodoli aggiunge il suo ultimo libro, incentrato sul rapporto, difficile fra Damiano, un ragazzino di dieci anni, e suo padre Alessandro, un quarantenne inquieto e irrisolto, dopo che, finito il suo matrimonio, è costretto a vedere suo figlio solo nei weekend, cercando di ritagliare, nelle poche ore concesse, una sorta di complicità: una partita di tennis al Circolo, una bibita, forse una passeggiata prima del ritorno a casa dalla madre, un tentativo stentato di dialogo.
È domenica, il ragazzino preferirebbe andare a messa, ha appena fatto la Prima Comunione, il padre suggerisce invece una passeggiata sull’argine del Tevere, nel tratto che dal Circolo va verso il centro; Damiano cammina troppo vicino al bordo, e per guardare un’anatra, finisce in un attimo inghiottito dall’acqua sporca e limacciosa: un urlo, Alessandro sa che deve gettarsi nel gorgo per salvare suo figlio, ma i piedi sono conficcati nel terreno, le gambe e la testa non gli ubbidiscono, si sente come
“una statua di carne e impotenza, come addormentato nell’aria stupida della domenica”.
Ma compare in mezzo alla folla sbigottita un uomo che senza esitare si butta in acqua e dopo vari tentativi riemerge con il bambino in braccio, lo deposita sulla riva e scompare. Damiano, con gli occhi chiusi, capisce che è avvenuto qualcosa di molto grave: suo padre non è il suo salvatore, c’è qualcun altro che ha rischiato la vita per sottrarlo al groviglio delle correnti, e lui vuole trovarlo e ringraziarlo. Il resto non sembra importargli. Il giudizio sul padre, con la giacca pulita, asciutto, incapace di un gesto risolutivo mentre lui rischiava la morte, fanno nascere nel ragazzino sentimenti forti e antagonisti alla figura sfocata del padre, che deve riparare trovando finalmente l’eroe sconosciuto.
Comincia così il pellegrinaggio notturno nella città del padre, nella sua macchina divenuta una sorta di astronave che si aggira in ogni quartiere della capitale spettrale, mentre il figlio dorme, steso sul sedile di dietro, ma tuttavia attento a risvegliarsi quando Alessandro sembra esitare, fermarsi, arrendersi. Un romanzo di iniziazione a parti invertite: il piccolo è saggio e consapevole, l’adulto deve discendere agli inferi per riemergere purificato e meritare davvero l’affetto di suo figlio. Il viaggio notturno in una Roma sconosciuta, di cui ricordiamo i nomi delle strade e delle piazze, ma che ci appaiono trasfigurate in una sorta di rappresentazione onirica, ci parlano di un lungo incubo che Alessandro è costretto a vivere, incontrando personaggi patetici e strampalati, violenti e teneri, in una specie di fantasmagoria felliniana, inclusa una festa di bambini, in un aristocratico palazzo nobiliare di fronte alla Fontana delle Tartarughe, dove però i bambini sono degli anziani dementi; o in un piccolo circo dove si recita per un solo spettatore, un bambino cieco, a cui Alessandro dovrà raccontare la magia di acrobati, cavalli e pagliacci che il piccolo potrà immaginare solo attraverso le sue parole. Pieno di metafore, di rimandi, di immagini forti “Il fiume” di Marco Lodoli, che ci racconta il senso di colpa e la volontà di espiazione di un uomo, Alessandro, che forse rappresenta una generazione di padri inaffidabili, fragili, inadeguati, costretti a fare i conti con un ruolo che non ammette cadute o ripensamenti. Solo raccontando lo spettacolo circense al piccolo cieco, Alessandro potrà riscattarsi attraverso parole coraggiose e credibili, e proporsi come il modello che fino a quel momento non è riuscito ad essere per Damiano:
“Signore e signori, siete benvenuti nel nostro circo, vi promettiamo molto e qualcosa manterremo, gli artisti sono così, bugiardi e onesti, poveri e generosi, e ogni giorno combattono la loro battaglia contro la forza di gravità... Il mio professore di lettere... Con il dito indicava sempre in alto, di metteva in punta di piedi, pronto al decollo”.
Marco Lodoli è un professore, un educatore, è un uomo di vaste letture, e ci consegna con questo libro una forte denuncia nei confronti dei genitori, troppo spesso incapaci del ruolo che compete loro nell’aver scelto di avere dei figli, che vivono e assorbono le loro frustrazioni e le condannano senza appello, ma sono disposti ad aspettare e a perdonare. Damiano, dopo un incubo durato una intera notte tra sonno e veglia si rivolge a suo padre con ritrovato affetto:
“Ho sognato che ero caduto nel fiume, era notte là sotto, non si vedeva niente... Poi tu sei arrivato e mi hai salvato”.
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