Il generale nel labirinto. Badoglio e la sfinge di Caporetto
- Autore: Nicola Persegati
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Nomen omen: si chiamava Cannoniere il comandante dell’artiglieria del XXVII Corpo d’Armata sul fronte di Caporetto, il 24 ottobre 1917. Non sparò un colpo. Il suo comandante di CdA, generale Badoglio, aveva avocato rigorosamente a sé l’ordine di aprire il fuoco, ma nella concitazione dell’offensiva austro-tedesca non riuscì a comunicare con nessuno e Cannoniere preferì non agire d’iniziativa.
Le bocche di fuoco tacquero, il nemico penetrò incontrastato e lo schieramento italiano venne inesorabilmente sfondato. Fa sempre rabbia ritrovarsi davanti a una delle principali concause del disastro sull’Isonzo, evidenziata nelle primissime pagine di un volume delle Edizioni udinesi Gaspari, Il generale nel labirinto. Badoglio e la sfinge di Caporetto (2022, collana Storica, illustrazioni in bianconero) di Nicola Persegati.
Legnanese del 1964, Persegati è uno dei più attivi ricercatori storici specializzato nella Grande Guerra, che studia da un trentennio. Suoi alcuni titoli precedenti apprezzati: San Gabriele, l’orizzonte di fuoco (2007), Le battaglie sul Carso. Doline in fiamme (2014), La grande guerra italiana. Le battaglie (2015), Il Quarto cavaliere. L’apocalisse dell’attacco dei gas sul San Michele, Il 29 giugno 1916 (2016), I mitraglieri incatenati (2017).
In gran parte monografie, quindi, lavori in cui Nicola Persegati mette a fuoco con competenza singole parti di un conflitto complesso, col vantaggio di proporre un approfondimento settoriale in modo scorrevole e piano, alla portata anche di chi si accosta per la prima volta all’argomento.
In questo nuovo lavoro Il generale nel labirinto. Badoglio e la sfinge di Caporetto incontriamo subito il colonnello Alfredo Cannoniere, nell’atto di avvicendare un autentico esperto nell’impiego dell’artiglieria pesante: il collega Edoardo Scuti aveva infatti seguito il generale Vanzo, rimosso da comando del XXVII. Rimosso? Silurato, come si usava nell’alto Comando italiano. Il tenente generale Capello, alla testa della II Armata, gli attribuiva la responsabilità di avere mancato l’aggiramento della testa di ponte di Tolmino nell’11a battaglia dell’Isonzo sulla Bainsizza. Questo finì per aggiungere un secondo saliente esposto ad attacchi nemici dai fianchi come quello sotto il Monte Nero.
Vanzo lanciò un anatema allo stesso Badoglio, sostituto che il 22 agosto 1917 gli notificava il siluramento: “resta tu qui, ma ci rivedremo, sai dove? Sull’Adige, anzi sul Po!”. La “profezia” è il capitolo iniziale della monografia sul Badoglio sconfitto a Caporetto, ch’era stato però anche il comandante di divisione capace di conquistare l’imprendibile Sabotino, con un suo piano brillante il 6 agosto 1916 e che sarà sottocapo di Stato Maggiore generale dell’Esercito nella resistenza sul Piave e nel successo di Vittorio Veneto nell’autunno 1918.
Nell’ultimo anno decisivo del conflitto, la nostra artiglieria cambiò totalmente concezione operativa. Fino a Caporetto era prevalso un impiego al risparmio: si attendeva lo sbalzo delle fanterie avversarie per attuare un fuoco di sbarramento concertato dei calibri piccoli, medi e campali. Dalle battaglie d’arresto in poi si attuò invece un tiro di contropreparazione sulle linee avversarie fin dall’avvio del fuoco d’artiglieria nemico, se non addirittura poco prima. Indubbiamente costoso, ma molto efficace nel bersagliare e a volte perfino scompaginare l’attacco nemico.
Sta di fatto che a Tolmino la nostra artiglieria risultò deficitaria. Da una parte, studiando il fronte italiano in vista dell’offensiva congiunta con l’alleato austriaco, fin dal settembre precedente il generale tedesco Krafft von Dellmensingen aveva individuato in quel saliente il punto debole delle linee italiane. Sul fronte opposto, ritenendosi un innovatore infallibile nell’impiego delle artiglierie in battaglia, Badoglio aveva favorito Cannoniere al posto dell’ottimo Scuti, dicendo di non avere bisogno di “professori”: bastava un “esecutore di ordini”.
Oltre a seguire un concetto d’impiego troppo tardivo, i pezzi erano stati mantenuti in posizioni avanzate - contro gli ordini di Cadorna – una dislocazione proiettata all’offensiva, in vista di un contrattacco. Schierare le batterie praticamente in prima linea le esponeva pericolosamente all’avanzata nemica, oltre a ridurne l’efficacia. Potendo colpire soltanto con una parabola accentuata, le pur valide bombarde diventavano inservibili se l’avversario riusciva a serrare sotto. Avvicinandosi, entrava in un angolo morto, al sicuro.
Inoltre, la componente umana in linea era logorata in quell’ottobre 1917. Pur non verificandosi lo “sciopero militare” tanto chiacchierato, è innegabile che alcuni reparti abbiano opposto una scarsa capacità combattiva all’attacco avversario.
Secondo i superstiti del battaglione alpino Monte Berico, impegnati sul Kuklj, all’ala sinistra:
Qualcuno credette che il suo dovere fosse esaurito e si dovesse piegare ad un fato ineluttabile; qualcuno credette di vedere la mano del destino e chinò il capo; qualcuno si sentì troppo debole per farsi valere e s’afflosciò.
Alcuni reparti si sciolsero, non offrendo più presa al comando. Dopo la Bainsizza, il morale dei reparti era avvilito da un senso d’inutilità della fatica e del sacrificio, profusi senza conseguire risultati militari sul terreno.
Ma i soldati non sono responsabili dei difetti del “manico”, anzi, pagano in prima persona gli errori commessi delle “greche” al comando.
È ingiusto pretendere da normali fanti che una volta aggirati e sorpresi potessero rovesciare solo col valore e il coraggio una situazione compromessa dai superiori. È un indiscutibile atto di accusa da contestare ai loro comandanti. Badoglio compreso.
Il generale nel labirinto. Badoglio e la sfinge di Caporetto
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