Il ladro gentiluomo
- Autore: Ernest William Hornung
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Castelvecchi
- Anno di pubblicazione: 2015
Bunny Manders era disperato, perché aveva sperperato tutto “fino all’ultimo penny” durante una partita a baccarat all’Albany Club di Londra. I suoi familiari non potevano aiutarlo, perché non solo era figlio unico e aveva già avuto tutto quello che gli spettava ma era rimasto solo al mondo.
“La mia unica consolazione è che sono tutti morti, e non potranno mai sapere”.
Solo l’ex compagno di college A. J. Raffles poteva aiutare Manders, non solo perché Raffles aveva il potere di rendersi irresistibile ma soprattutto perché nessuno più di lui era in grado di padroneggiare con tale freddezza le situazioni. Forse era anche merito dei gelidi occhi azzurri dell’uomo, della sua figura slanciata e indolente o della sua bocca decisa, spregiudicata. Nessuno poteva saperlo, Manders sapeva solamente che Raffles alla fine
“mi avrebbe aiutato! A. J. Raffles mi sarebbe stato amico! D’un tratto fu come se tutto il mondo fosse sceso al mio fianco”.
Quello che Bunny avrebbe presto scoperto era che Raffles si trovava nella sua stessa condizione: non possedeva un quattrino, giacché non bastava avere un appartamento in un palazzo raffinato, essere iscritti a uno o a due club e giocare un po’ a cricket per avere un solido conto in banca. Raffles era uno squattrinato e per vivere poteva contare solo sul suo ingegno, nient’altro che quello
“Siamo nella stessa barca, Bunny e sarà meglio remare nella stessa direzione”.
Occorreva assolutamente trovare il denaro entro quella notte “con le buone o con le cattive”, anche perché gli assegni che Manders aveva firmato ai giocatori che avevano vinto a baccarat non erano coperti. Dieci anni prima al college, grazie allo straordinario sangue freddo e alla consumata audacia di Raffles uniti alla presenza di spirito di Bunny, Raffles aveva evitato di essere espulso dal college. Se è vero che le persone non cambiano, “semplicemente evolvono”, ora che cosa sarebbe stato disposto a fare Bunny Manders per un amico?
“Qualsiasi cosa”. “Anche un crimine?”.
Sì, perché Raffles era un ladro, un criminale gentiluomo. Del resto, perché lavorare, quando “avrei potuto rubare”? Perché adattarsi a una qualche tediosa e sgradita routine, quando le emozioni, l’avventura, il pericolo e una vita agiata si profilavano all’orizzonte di Raffles? Ovvio tutto questo è deprecabile, ma la ripartizione della ricchezza non è forse altrettanto deprecabile?
“E fu così che Raffles ed io unimmo le nostre criminali forze nel giorno delle Idi di marzo”.
Ernest William Hornung (Cleveland Villas, 1866 – Saint-Jean-de-Luz, 1921) con “Il ladro gentiluomo” (titolo originale Raffles, Castelvecchi, 2015, traduzione di Alessandra Emma Giagheddu) diede inizio alla fortunata serie di romanzi incentrati sulla figura di Raffles, compassato criminale dall’aspetto ricercato che ama travestirsi, il quale già durante il college aveva l’abitudine di girovagare per la città nel cuore della notte con barba finta e abiti stravaganti. Scrittore e poeta inglese, Hornung aveva sposato una sorella di Sir Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes, quindi il distinto ladro, che si muove nella Londra di fine Ottocento, capofila della lunga serie di “ladri gentiluomini” che hanno fatto la fortuna di romanzieri, registi e sceneggiatori, rappresenta una sorta di antitesi del deduttivo detective.
Viso affilato e pallido, natura eclettica, una vena di raffinato estetismo, protagonista di svariati adattamenti cinematografici e televisivi, Raffles è un uomo dalle molte facce, nessuna delle quali lascia indifferente. Tra le pagine del romanzo, scritto con abile perizia narrativa da un autore che si interessò anche di tematiche importanti come i progressi della medicina, l’eguaglianza sociale e la condizione femminile, appare evidente una sottile critica alla morale tardo vittoriana: Raffles e Bunny sono infatti ispirati a una celebre e trasgressiva coppia dell’epoca, quella composta da Oscar Wilde e dal suo amante Lord Alfred Douglas.
“Sì, nel mio cuore mi ero affidato a lui, nonostante la mia apparente diffidenza e modestia, e ora mi ritrovavo servito a dovere”.
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