Il lato oscuro
- Autore: Vittorino Andreoli
- Genere: Psicologia
Cosa spinge una persona apparentemente normale, che ha vissuto tranquillamente la propria vita familiare, a compiere un efferato delitto, come se quell’azione provenisse da una dimensione talmente inabissata nell’animo umano, da non avere altro colore se non quello più oscuro?
Nove storie italiane di crimine e follia
E’ questa la domanda che Vittorino Andreoli, noto psichiatra, si pone all’interno di questo libro, che funge da raccolta per nove casi di omicidi italiani avvenuti in momenti diversi e tutti faticosamente risolti. Il denominatore comune è la Morte.
Ogni delitto racconta di morte ma qual è il senso della morte, oggi? E’ la spettacolarizzazione. Il tempo presente ha dimenticato la morte o finge di averla dimenticata, la nasconde, la banalizza, riconducendola ad uno spettacolo da televisione o da cinema per edulcorarla e renderla meno tragica. L’immagine della morte non è più quella dell’iconografia antica, di uno scheletro ossuto che sul suo cavallo nero, agita la falce, oggi per noi la morte indossa una maschera e il suo vestito più bello. Ha perso la sua pericolosità, ha smesso di fare paura, ce la ritroviamo nei talk show e nei salotti colorati, incastrata nei discorsi spiccioli di quattro pettegoli che del senso profondo della vita se ne fanno beffa. Questo spiega molte cose e spiega anche la facilità con cui un giovane uccide un proprio coetaneo o una ragazzina si butta dal balcone, testimoniando una verità ancora più tragica: nella specie umana si uccide molto di più che in qualsiasi altra specie vivente.
E allora perché si uccide? C’è chi uccide per professione, chi pensando di fare del bene e chi uccide per disperazione o per follia. Secondo Andreoli, l’uomo uccide quando si sente finito, quando pensa di non avere più via di scampo, quando percepisce la sua esistenza negata dalle persone e dal mondo. E uccidere un’altra persona che sia un parente o uno sconosciuto, significa compiere quell’atto di ribellione che lo rende un titano al pari degli dei ma riflette soprattutto la consapevolezza di non avere più niente da perdere fino al punto da considerare applicabile e innegabile il concetto dell’ammazzare l’altro per ammazzare se stesso. In questo senso non c’è molta differenza tra il suicidio e l’omicidio, ecco perché molti delitti familiari finiscono con la morte anche dell’omicida che si toglie la vita. Il suicida o l’omicida non sono come gli altri, non aspettano in ginocchio la volontà del Padre, essi uccidono e si uccidono perché sono ribelli senza alcuna paura dell’ignoto né voglia di Paradiso. Non sono i protagonisti del destino, essi diventano il destino, e quando avvertono la loro fine, finiscono anche l’altro, e persino il mondo. L’omicida folle invece, quando la follia diventa una malattia clinica, è oltre qualsiasi logica di umanità. Il folle è fuori dal mondo, si sente morto psicologicamente e socialmente, è vicino agli altri senza avere bisogno dell’altro, perdendo persino il ricordo delle parole, non vuole più comunicare. Uccidere per follia va oltre la disperazione stessa perché il folle, perdendo anche l’ultimo baluardo di vita che lo spinge a provare rabbia contro il mondo o contro qualcuno, è come un cadavere che cammina, vive senza vivere, vive da morto e se uccide, uccide già morto.
“Non esiste un capitolo speciale della psicologia per chi ammazza, basta un vissuto che tutti possono avere, se si percepiscono alla fine e in un mondo in cui si sentono già morti.”
Il lato oscuro
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