Il libro dell’inquietudine
- Autore: Fernando Pessoa
E’ per me un onere nonché un onore, è proprio il caso di dirlo, recensire in così poche righe un libro che altro non è che “l’autobiografia di chi non è mai esistito”.
Pubblicato in una nuova edizione nel dicembre 2012 da Feltrinelli e riproposto con testo a fronte nell’aprile 2013 da Newton Compton (collana Mammut - completa di varie poesie), “Il libro dell’inquietudine” di Fernando Pessoa è unico nel suo genere.
Unico sotto vari punti di vista a partire dall’autore, Bernardo Soares, uno dei tanti eteronimi immaginari che aveva il celebre scrittore portoghese e che rappresentava, a detta di Pessoa, l’alter-ego più affine alla sua personalità. Un autore sdoppiato, quindi, che parla in prima persona in tutto il libro.
Inimitabile nella forma, in quanto si tratta, più che di un romanzo vero e proprio, di una raccolta di pensieri, di riflessioni, di slanci e di vaneggiamenti di Soares (e di conseguenza di Pessoa) sulla vita che egli conduce, quella di un anonimo contabile in una ditta di tessuti a Lisbona. Ma non è della vita “esterna” in cui il protagonista si prolifica in innumerevoli dissertazioni: è la vita “interna” che lo opprime, lo confonde, lo spinge ad una profonda analisi di sé e degli altri. Una vita nella vita e pertanto un altro sdoppiamento, come una finestra le cui imposte “si possono aprire nei due versi” per citare Tabucchi che ha curato la prefazione dell’edizione Feltrinelli.
Singolare anche la genesi di questa opera che Pessoa ha scritto in modo disgregato ma continuo per oltre vent’anni a partire dal 1913 e fino alla morte avvenuta nel 1935 (la prima edizione in lingua originale risale solo al 1982). Pessoa ha dichiarato che “Il libro dell’inquietudine” era per lui la sua opera più preziosa e più intima ed aveva cercato di dare un primo ordine agli oltre 450 documenti che la componevano, suddividendoli in cinque buste (alcuni dei suoi scritti erano vere e proprie minute, abbozzate su volantini pubblicitari e su carta di riciclo).
Inconfondibile lo stile di Pessoa che ha dato filo da torcere ai traduttori: Pessoa utilizza un linguaggio febbrile, malinconico, colmo di infiniti personali, di anacoluti e di parole inventate (come “sdormire” che significa quello stato di dormi-veglia in cui Soares si ritrova continuamente).
Eccezionale, infine, la sensibilità e l’emotività con cui Pessoa affronta talentuosamente il mal di vivere di Soares, dedicando un’opera intera a quell’interiorità inquieta in cui il lettore facilmente si immerge e si confronta.
Spesso paragonato alle “Confessioni” di Agostino, a “La ricerca del tempo perduto” di Proust, all’ “Ulisse” di James Joyce e a Nerval, il “Livro do Desassossego” di Pessoa è in realtà un non-libro che può essere letto e riletto a più riprese, scomponendolo e ricomponendolo, personalizzandolo all’infinito.
Molteplici potrebbero essere le citazioni da riportare in questa recensione, proprio perché il libro è composto da più frammenti narrativi. Riporto quella che, fra tutte, a me è rimasta più impressa:
“Vivere è essere un altro. Neppure sentire è possibile se si sente oggi come si è sentito ieri: sentire oggi come si è sentito ieri non è sentire, è ricordare oggi quello che si è sentito ieri, è essere il cadavere vivo di ciò che ieri è stata la vita. Cancellare tutto dalla lavagna da un giorno all’altro, essere nuovo ad ogni alba, in una nuova realtà perpetua dell’emozione: questo e solo questo vale la pena di essere o di avere, per essere o avere quello che in modo imperfetto siamo”.
Dimenticavo l’ultimo aggettivo: imperdibile.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il libro dell’inquietudine
Lascia il tuo commento