Il marinaio
- Autore: Fernando Pessoa
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2005
Una bara con una donzella vestita di bianco al centro di una stanza circolare, una piccola finestra da cui entra un chiarore lunare e dalla quale è possibile osservare mare e monti, quattro candele, tre fanciulle, la paura dell’alba: questi sono i pochissimi elementi che compongono l’intero dramma di Fernando Pessoa, “Il marinaio”:
“Non desiderate, sorelle mie, che ci intratteniamo raccontando quel che siamo state? È bello ed è sempre falso”.
Si capisce fin da subito di trovarsi in una realtà parallela, dove il passato non è altro che una menzogna, il tempo della finzione, un modo illusorio per dimenticare. Tra queste pagine c’è tutto Fernando Pessoa con i temi a lui più cari: la nostalgia (o, meglio, la saudade) di un passato che non è mai avvenuto, l’insoddisfazione del presente con la volontà di essere un altro e la disillusione nei confronti del futuro. La tracotanza e l’ansia di cose impossibili si risolvono nel perseguire un’esistenza che non è all’altezza delle proprie aspettative, e dalla quale, quindi, viene escluso e si autoesclude. È indescrivibile il potere della parola, di cui Fernando Pessoa sembra tanto aver paura, ma che in realtà è in grado di dominare alla perfezione:
“Ho l’orribile sensazione di avervi già detto poco fa quello che devo ancora dire. Le mie parole presenti, appena le avrò dette, apparterranno subito al passato, resteranno fuori di me, non so dove, rigide e fatali. Dico e penso questo, nella mia gola, e le mie parole mi sembrano persone. Ho una paura più grande di me... Sento di tenere in mano, non so come, la chiave di una porta sconosciuta. E io tutta sono un amuleto o un tabernacolo cosciente di se stesso. È per questo che mi terrorizza andare, come in una foresta scura, attraverso il mistero del parlare... E poi chi può sapere se io sono così e se tutto questo è senza dubbio quello che sento?”
Uno dei sogni che viene raccontato è quello del marinaio, un uomo approdato su un’isola dopo essere scampato a un naufragio. Tanta è la nostalgia provata per la patria, che egli sente la necessità di costruirne una nuova, con nuove persone, nuovi amici, nuove strade, nuovi ricordi... e questi tasselli di un passato che non c’è mai stato hanno poco in comune con quello reale. Poi, in un giorno di pioggia, in cui l’orizzonte sembra svanire, il marinaio non ricorda più nulla del suo vero passato... Ma allora qual è la vera patria? Qual è stata la vera esistenza?
Ottima la scelta di lasciare il testo a fronte in portoghese, con cui è possibile immaginare il suono originario delle parole; sembra di sentire le due voci – quella di Fernando Pessoa e quella dell’illustre traduttore Antonio Tabucchi – fondersi, pur manifestandosi in modo indipendente.
Nella nota alla traduzione, scritta dallo stesso Tabucchi, c’è forse la chiave del dramma, che è costituita proprio dal tempo: il piuccheperfetto congiuntivo, il tempo della saudade, il tempo del passato dubitativo. Forse la vita – quella veramente all’altezza della propria fama – è quella fatta dei desideri di ciascuno, anche delle illusioni, e non solo del dato oggettivo; e forse l’individuo è un po’ anche quello che dentro di sé vorrebbe essere, e la sua vita è anche quella che vive nei suoi desideri.
Il marinaio
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