Il nipote del Negus
- Autore: Andrea Camilleri
- Genere: Avventura
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2010
Non è Montalbano il protagonista del nuovo libro di Andrea Camilleri, in uscita il 25 marzo 2010.
Quest’ultimo libro di genere storico, come espresso dall’autore, ha la stessa struttura narrativa de “La concessione del telefono”- documentazioni d’archivio o missive che sembrano dispacci perentori s’intersecano a frammenti dialogici-narrativi in un rimando continuo di stampo tipico camilleriano. Secondo notizie veritiere, si narra di un nipote del Negus etiopico Haileè Sellassiè che negli anni 1929-1930, frequentò a Caltanissetta la Regia Scuola Mineraria presso la quale si diplomò perito minerario nel 1932. Qui finisce “la verità” e da qui inizia la fantasia! Sì, lo sfondo storico fa da fondale alla rappresentazione teatrale della vicenda, ma i cerchi concentrici che attorniano i fatti, i personaggi, sono frutto esclusivo dell’inventiva dello scrittore: la retorica tronfia dell’epoca investe come vento impetuoso e trascina sentimenti e azioni in una sorta d’irriverente pantomima di memoria goliardica. Tra le righe entriamo da spettatori in una sorta di film in 3D, ci sembra di rivivere, certo in toni farseschi e burleschi, situazioni quasi reali ed attuali e non già fantasmi del passato ormai desueti. Come non ridere con un retrogusto amaro agli ossequi inverecondi verso i superiori, ai titoli onorifici così ridondanti ed enfatici, alla supponente grandeur di una nazione piccina piccina. Con sarcastica vis Camilleri ci presenta una verità storica in modo talmente burlesco da risultare falsa e una falsità storica così pronunciata da risultare vera. E’ il gioco degli inganni di chi si crede furbo e s’inganna e a sua volta viene ingannato. Una farsa che ha le movenze di un minuetto e il tono scanzonato e irriverente di uno sberleffo.
L’intreccio ricorda una novella boccaccesca, tra intrighi ed intrecci amorosi, tra ragion di stato e convenienze personali, tra vizi confusi con desideri in un carosello umano più farsesco che reale.
Camilleri ci diverte e ci delizia, ma forse avremmo voluto ridere meno su noi stessi, su quello che siamo stati e siamo, perché c’è poco da ridere quando i sogni dei più vengono meno e non albergano speranze di reali cambiamenti positivi per tutti.
Il nipote del Negus (La memoria Vol. 810)
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Nel suo nuovo libro "Il nipote del negus" Camilleri torna ad offrici ,in un copione di umorismo trascinante simile a quello della "Concessione del telefono",ore di divertimento assicurato. Mi ero onestamente un po’ stancato di Camilleri ma questo ultimo e’ veramente esilarante.
Provare per credere ,da Deleo ad AGRIGENTO ne troverete una copia a disposizione dei lettori dubbiosi che vogliono leggerne qualche capitolo prima dell acquisto.
APRILE XXV.
Accattivante sin dalle prime pagine, una storia farsesca che prende spunto dal nostro passato ma anche dal nostro presenze. Ancora un’altro successo assicurato.Grazie Andrea
Coinvolgente romanzo di genere storico "Il nipote del negus" (Sellerio, Palermo 2010) che, come espressamente detto da Andrea Camilleri, ha l’identica struttura narrativa dell’opera "La concessione del telefono".
Contemporaneamente e indipendentemente dal volume, viene proposto l’audiolibro con la storia letta dallo stesso autore. Documentazioni d’archivio o missive che sembrano dispacci perentori s’intersecano a frammenti dialogici-narrativi, rendendo così la vicenda vivacemente articolata e tale da richiedere la massima collaborazione del lettore. Secondo notizie rispondenti alla realtà, vi si racconta di un nipote del Negus etiopico Haileè Sellassiè che, negli anni 1929-1930, frequentò a Caltanissetta la Regia Scuola Mineraria presso la quale poi, nel 1932, si diplomò perito minerario. Questo il fatto accaduto. E inizia da qui l’invenzione letteraria traboccante di motivi che trovano l’epicentro nella cittadina di Vigàta, metafora della nazione, affogata nel grottesco e prosciugata dalla vacuità dei modelli culturali fascisti. La retorica tronfia dell’epoca si manifesta nelle tante articolazioni laterali, trascinando come vento impetuoso stati d’animo e azioni in una sorta di irriverente goliardia.
E’ l’approccio storico a fare da fondale alla rappresentazione degli episodi, mentre i cerchi concentrici che attorniano fatti e personaggi sono frutto esclusivo dell’immaginazione fervida dello scrittore empedoclino. Entriamo, pare di poter dire, da spettatori in una sorta di caleidoscopio dove si ha l’impressione di rivivere, in toni burleschi, situazioni quasi reali. Non già fantasmi del passato, ormai desueti, le descrizioni d’ambiente, in quanto si potrebbe scorgere nella rappresentazione di una realtà degradata l’allusione al presente. La sostanza dell’opera diventa l’esplicitazione di una condizione antropologica destinata nella sua pochezza intellettuale ad una arretratezza nutrita di velleità e di piccoli espedienti, tanto assurdi quanto incompetenti e meschinamente reali. Per questo, vi si può avvertire l’esigenza pedagogica della costruzione di menti critiche, sottratte a mistificazioni di ogni tipo. Come, ad esempio, non sorridere, sia pure con amarezza, davanti agli ossequi inverecondi verso i superiori, ai titoli onorifici così ridondanti e alla supponente grandezza di un Paese in fondo minuscolo e marginale? Irrealtà e realtà si identificano. Da un lato, con sarcastica energia Camilleri presenta una verità storica in modo da renderla inimmaginabile; dall’altro, mostra una falsità storica così dettagliata da risultare verosimile entro un sottile gioco di inganni. In definitiva, il furbo, quale espressione di un apparato intoccabile e indiscutibile, vorrebbe averla vinta, ma, in modo del tutto giocoso, da ingannatore diventa ingannato. Farsa, dunque! Farsa che, tra le sottigliezze psicologiche del personaggio principale (il principe che a spese della comunità vive fra il lusso e le amanti), ha il tono scanzonato di uno sberleffo. Non a caso, l’intreccio, tra intrighi amorosi, tra ragion di stato e convenienze personali, tra vizi e desideri fa venire in mente il mondo boccaccesco in un carosello macchiettistico sul passato che siamo stati. Nel contempo, l’umorismo induce a riflettere sull’orgoglio nazionale allorquando si avvolgeva in una politica ringalluzzita e altisonante, votata con mezzi brutali all’avventura dell’impresa coloniale.