Il numero 31328. Il libro della schiavitù
- Autore: Ilias Venezis
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Edizioni Settecolori
- Anno di pubblicazione: 2022
Genocidio. Una parola tornata di tristissima attualità in tempi recenti, con l’acceso dibattito circa il genocidio della popolazione armena, un’oscura pagina di storia alla quale Antonia Arslan ha dedicato il suo La masseria delle allodole. Ma non solo gli armeni sono stati vittime di genocidio: se ripercorriamo gli eventi che hanno segnato la storia dell’umanità, non occorre andare molto indietro per incontrare un accadimento altrettanto triste, svoltosi in Anatolia nel 1922, in contemporanea con l’ascesa del fascismo in Italia. In Anatolia, la guerra greco-turca, conclusasi con la disfatta dei greci, segnò la fine della loro presenza nell’Asia Minore e l’inizio di deportazioni, reclusioni in campi di lavoro e di una serie di rappresaglie e violenze indicibili da parte dei turchi.
La testimonianza di quella tragedia ci arriva oggi dalla lettura di Il numero 31328. Il libro della schiavitù di Ilias Venezis (Edizioni Settecolori, 2022 - prefazione di Antonia Arslan, traduzione di Francesco Colafemmina), in cui l’autore racconta la sua dura e dolorosa esperienza di ragazzo catturato come schiavo e sopravvissuto quasi per miracolo alle crudeli e interminabili torture inflitte ai prigionieri dai vincitori.
Ilias Venezis, nel 1922, era un giovane di Aivali, davanti all’isola di Lesbo. Come molti suoi compaesani si nascose per cercare di sfuggire ai rastrellamenti dei turchi, ma a nulla valsero i suoi sforzi: fu catturato insieme a un gruppo di altri uomini di ogni età e destinato alla schiavitù dei campi di lavoro. I prigionieri furono dapprima costretti a una lunghissima marcia verso l’ignoto, esposti al freddo, alla fame e a ogni sorta di angheria da parte dei comandanti, in una sorta di prova di resistenza atta, probabilmente, a testare la forza e la capacità fisica di ciascuno di loro, selezionando solo i migliori. Una volta stanziati, i superstiti vennero impiegati in ogni sorta di lavoro pesante, spesso anche “in affitto” alla popolazione del luogo, migliorando leggermente la propria situazione ma pur sempre sottoposti a freddo, fatica e alimentazione insufficiente, oltre a essere spesso bersaglio dell’ostracismo e della diffidenza delle popolazioni locali. Pochissimi riuscirono a resistere e a rivedere la loro patria, una volta terminato il conflitto.
Tornato, a fatica, a una vita normale, Ilias Venezis avrebbe voluto solo dimenticare tutto quello che aveva visto e vissuto sulla propria pelle, ma, come spesso accade, il bisogno di far conoscere al mondo la verità lo spinse a scrivere una cronaca, più tardi rielaborata in forma di libro.
Critica e pubblico furono divisi davanti alla sua opera: molti ritenevano che fin troppi libri di guerra fossero stati già pubblicati. Eppure, certe testimonianze non sono mai abbastanza, perché forniscono al nostro tranquillo essere un salutare pugno nello stomaco, che ci fa spalancare gli occhi verso quello che non avremmo mai creduto, né voluto, che esistesse: la crudeltà diabolica dei comandanti, i compagni morti di stenti o uccisi per i più futili motivi, le interminabili marce nel freddo coperti solo di stracci, ma anche, via via, sprazzi di umanità sempre più frequenti con l’avvicinarsi della fine del conflitto. Legami forti che si creano e si rafforzano, malgrado molti di loro vengano poi recisi violentemente come fiori tagliati per capriccio.
Venezis scrive in modo concitato, come se stesse inseguendo i ricordi che sfuggono dalla sua penna simili a un fiume in piena: è sicuramente per questo che il tempo della narrazione non trova pace, saltando di continuo dal presente al passato e viceversa, in una confusione temporale che in altri contesti risulterebbe fastidiosa, ma qui serve soltanto a farci ancora di più immedesimare, per quanto possibile, nello stato mentale e nel dolore del protagonista e narratore, i cui ricordi sono ancora talmente indelebili e vivi da sembrare attuali.
Proprio Antonia Arslan, facendo un parallelo con la tragica esperienza vissuta dalla propria famiglia, ha scritto la prefazione a questa edizione, unendo idealmente i sentimenti di due popoli che hanno vissuto eventi dolorosamente simili. Incredibilmente, quella che abbiamo fra le mani è la prima traduzione italiana di questa importantissima testimonianza, terribilmente cruda ma anche capace di parlare al cuore e alla ragione di chi vorrà leggerla.
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Un libro perfetto per...
A chi intende la Storia non come una fredda sequela di luoghi, nomi e date, ma anche e soprattutto come forma di empatia e di apprendimento, per non ripetere gli stessi errori.
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