Bompiani edita “Il pane del ritorno” (2018, pp. 350, 19,00 euro), un libro magnifico che racconta “Una grande storia di destini intrecciati attraverso il Novecento” come recita il sottotitolo del testo, nato dalla penna di Franca Cancogni, autrice ultra novantenne.
Scrittrice, traduttrice (Joyce, D.H. Lawrence e Conrad per Einaudi) e sceneggiatrice, nata a Bologna il 13 febbraio 1920, Franca Cancogni Violani nel 1978 ha scritto per Rizzoli, insieme con il fratello Manlio, giornalista, scrittore e insegnante, il romanzo storico “Adua”, ormai fuori catalogo. “Adua” che comincia a Bologna ampliando il suo orizzonte fino a comprendere l’Italia intera e l’Africa, rievocando una celebre battaglia che vide la sconfitta delle forze italiane da parte dell’esercito abissino del negus Menelik II, fu scritto dai fratelli sotto pseudonimo di Giuseppe Tugnoli. Solo nel 1996 il volume uscì per Longanesi con i nomi degli autori: Franca e Manlio Cancogni.
Nel suo romanzo “Il pane del ritorno”, la Cancogni traendo spunto da una testimonianza di vita realmente vissuta e mescolandola con la sua fantasia nutrita di letture, rievoca la sorte di una famiglia ebrea del XX Secolo. Il risultato è un libro straordinario che crea percorsi nuovi, sorprendenti. È stata la nuora di Franca Cancogni, ebrea, a raccontare alla suocera la storia della sua famiglia, chiedendole di mettere il tutto nero su bianco. Lavorando anche di fantasia la Cancogni ha raccontato la diaspora di una famiglia ebrea, ed è la voce di Frida, ormai una donna anziana che vive in una casa di riposo a Tel Aviv, che riannoda il filo dei ricordi. Anziana sì, ma ancora piena di spirito poiché Frida con tenacia e humour scava nel passato per raccontarci il suo viaggio, le sue peregrinazioni attraverso più nazioni e luoghi.
Non vi dico quanta gente venne a salutarci quando partimmo.
Infatti, poco più che bambina, rimasta sola con la sorella Abigail in uno sperduto villaggio dell’Asia centrale, Frida trova salvezza a Bukhara, in casa del ricco mercante Asherov, anch’egli ebreo. Ma anche nell’Uzbekistan sovietico la sorte si volge contro gli ebrei, e le due sorelle insieme alla loro famiglia acquisita cominciano un’avventurosa e amara “aliyah”, “immigrazione ebraica” che attraversa l’Iran, l’Afganistan e l’India, giunge alla Palestina degli anni ’40 per ripartire ancora verso l’Italia.
C’erano una volta tre sorelle: la maggiore si chiamava Dinah, la seconda Abigail, ma io l’ho sempre chiamata Abbie, e la terza e ultima, che poi sarei io, Frida.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: "Il pane del ritorno" di Franca Cancogni. Una grande storia di destini intrecciati attraverso il ’900
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