Il pappagallo di Flaubert
- Autore: Julian Barnes
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2014
Geoffrey Braithwaite, medico in pensione, vedovo che intrattiene sporadici contatti con i figli, essendo molto interessato di letteratura, decide di intraprendere un viaggio in Francia alla ricerca dell’autore che tanto, negli anni, lo ha appassionato, Gustave Flaubert.
Tutto ha inizio vicino a una statua che riproduce l’autore stesso, è solo la copia poiché l’originale è stato portato via dai Tedeschi nel 1941. Su questo riflette Braithwaite:
“Ben poco altro di quanto riguarda Flaubert è mai durato. Benché sia morto poco più di cent’anni fa, di lui ci resta solo carta. Carta, idee, frasi, metafore, prosa strutturata che si tramuta in suoni. Il che, d’altronde, è esattamente quel che avrebbe voluto... Parto dalla statua perché è da lì che il mio progetto ha preso le mosse inizialmente. Perché mai la scrittura ci porta a dar la caccia agli scrittori? Perché non li lasciamo in pace?Non ci bastano i libri? Flaubert voleva proprio questo: pochi scrittori hanno creduto più di lui nell’oggettività del testo e nell’irrilevanza dell’autore. Ciononostante, disubbidienti, li perseguitiamo”.
Queste sono frasi assai significative riguardo al romanzo intero che è fatto di ricerche, di simboli e metafore.
Momento molto importante è quello in cui a Braithwaite viene mostrato un pappagallo impagliato che, secondo il guardiano dell’Hotel Dieu, sarebbe stato il compagno dello scrittore durante la stesura di “Un coeur simple”, la storia di Félicité, una domestica che per mezzo secolo svolge questo lavoro dedicandosi agli altri con tante premure. Quando coloro di cui si è presa cura non ci sono più, unico affetto di Félicité rimane Loulou, il pappagallo. Allorché anch’esso muore, lei lo fa impagliare e lo conserva come una reliquia, quasi divinizzandolo, attribuendogli addirittura la voce della Santissima Trinità.
L’intento di Flaubert non è, però, assolutamente blasfemo: il suo modo di scrivere riassume quel carattere “grottesco flaubertiano” che è fatto di tristezza mista ad ironia e che è il modo attraverso cui l’autore racconta anche di se stesso.
Félicité ricorda la solitudine, la sofferenza morale dell’autore ma non ha la sua capacità espressiva; Loulou, invece, è la rara creatura capace di riprodurre suoni umani, forse la voce stessa di chi scrive. L’attività di studio di Braithwaite continua attraverso altre documentazioni quali una biografia attenta e dettagliata e la ricerca di notizie circa l’amore più grande dello scrittore francese.
Un capitolo è dedicato anche al “bestiario di Flaubert” in cui si sprecano similitudini e metafore. Gustave, in alcune occasioni è “l’orso” ovvero il tipo strano che, fin da giovane, voleva restare nella propria tana, in pace, lontano dai borghesi. Egli si fa, però, attraverso gli scritti, anche altri animali: un leone, una tigre, un boa constrictor, un riccio, un cammello. Anche quest’ultimo è un esempio di grottesco flaubertiano. La specie in questione, con il lungo collo ondeggiante, mostra caratteristiche note all’autore.
“Sono io, sia nell’attività fisica sia in quella mentale, come questo animale che è molto difficile da mettere in moto e altrettanto difficile, una volta partito, da fermare; la continuità è ciò che mi occorre nel riposo come nel movimento.”
E’ poi la volta della pecora, della scimmia, per giungere infine al pappagallo. Questo tipo di animale è quasi umano: in senso etimologico perroquet è diminutivo di Pierrot, parrot deriva da Pierre e perico, in spagnolo, da Pedro. Tanti rappresentanti di questa specie popolano l’esistenza dell’autore: Loulou, il pappagallo di Félicité, i pappagalli impagliati all’Hotel Dieu e a Croisset, residenza dell’autore. L’animale non appare in tutte le opere di Flaubert ma di certo è il più nominato.
Poi si dà il via ai viaggi: Braithwaite si muove per la Francia e giunge appunto a Croisset, luogo di residenza di Flaubert. L’inglese ripensa ai mezzi di trasporto di quei tempi, alla locomotiva in particolare, assai utile ma detestata dallo scrittore che non credeva nel progresso o, almeno pensava che l’unico a contare fosse quello morale.
Eppure, anche se le ferrovie erano, per Flaubert, tra “gli argomenti più noiosi del mondo” addirittura veri e propri “misfatti della società”, esse gli permettevano di velocizzare i suoi incontri con l’amata Louise Colet, senza che in famiglia ci si accorgesse della sua assenza.
Il pappagallo di Flaubert procede con altri capitoli dedicati all’autore e giunge, nel finale, al ritrovamento di più pappagalli e al sorgere del dubbio di quale sia stato fonte di ispirazione per lo scrittore francese. I pappagalli, quello all’Hotel Dieu e l’altro a Croisset, sono un mezzo per produrre: da un lato, un avvicinamento a Flaubert, dall’altro, essendo due, provocano l’incertezza e il dubbio della possibilità di poter entrar davvero in contatto con lo scrittore. Lo scopo del romanzo è, però, un altro: Braithwaite racconta tante cose su Gustave Flaubert, però non è in grado di narrare la propria storia. Questo è un libro fatto di emozioni, in parte conosciute e appartenenti all’autore, in parte celate da Braithwaite.
Questo romanzo si può definire di metaletteratura: una narrazione letteraria all’interno della letteratura. In esso molto ritroviamo dello scrittore francese ma per chi ha letto anche gli scritti successivi di Julian Barnes, si vede nettamente la sua impronta, quella di uno scrittore che usa poco la classica narrazione ma tanto dice attraverso un linguaggio assolutamente personale.
Il pappagallo di Flaubert
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