Il patto scellerato
- Autore: Riccardo Rossotto
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
“I Savoia e il mistero dell’ignobile fuga”
Un volume di piccolo formato, il classico pamphlet di contenuto storico, di lettura rapida e agevole e che non sviluppa una tesi conclusiva, ma avanza un’ipotesi suggestiva. È il pocket che le edizioni Mattioli 1885 di Fidenza-Parma hanno pubblicato nell’aprile 2015, riproponendo il saggio “Il patto scellerato” (Mattioli 1885, 2015 - 78 pagine 6 euro), redatto oltre dieci anni fa dall’avvocato e giornalista Riccardo Rossotto.
È il teorema di un presunto accordo tra Savoia e tedeschi, attraverso intermediari gallonati, che l’8 settembre 1943 avrebbe spianato la fuga al re e famiglia, in cambio della caduta di Roma, che se difesa efficacemente dalle nostre truppe avrebbe potuto rappresentare una testa di ponte per gli Alleati. Le direttive di Rommel, infatti, imponevano a Kesselring di abbandonare il Centrosud e ritirarsi verso le zone appenniniche tosco-emiliane. Un piano d’azione attentamente studiato, modificato nel giro di poche ore! Sette, per la precisione, dalle 19,45 della proclamazione radiofonica dell’armistizio con gli Alleati alla decisione di lasciare Roma, alle 4,30 del 9 settembre, per Pescara, passando per la strada principale. Possibile che questa scelta azzardata, in un tempo così breve e con la Wermacht a circondare la capitale, non seguisse un copione già scritto col comando tedesco di Frascati, si domanda Rossotto? La finalità della sua ricerca è solo capire meglio cosa possa essere successo in quei giorni.
Il mistero dell’ignobile fuga ha offerto questo scenario: un percorso di 250 chilometri lungo la Tiburtina, da Roma al porto di Ortona, senza nessuno scontro con i furibondi nazisti. Almeno 80 automobili, scortate da autoblindo con le insegne del regio Esercito e con a bordo più di 200 persone, re, regina ed erede al trono compresi. Intanto, nessuno aveva provveduto a far diramare dal Comando Supremo italiano la memoria OP. 44, con le direttive in caso di armistizio. Per 48 ore le divisioni italiane dentro e fuori i confini nazionali restarono senza ordini né orientamenti, finendo in mano ai tedeschi. Interi reparti grigioverdi restarono inattivi e gli hitleriani poterono fare affluire intere colonne indisturbate verso Salerno, ad affrontare gli angloamericani sbarcati. E i parà di Student e Skorzeny raggiunsero a colpo sicuro la segretissima località sul Gran Sasso dov’era detenuto Mussolini, mentre ai Carabinieri di guardia era stata cambiata la consegna: non occorreva reagire a fuoco ai tedeschi in caso di tentativo di liberazione del Duce.
La tesi del presunto patto scellerato venne avanzata fin dal maggio 1945 sul periodico “la Folla”, legato a Giannini, il leader dell’Uomo Qualunque. Poco più avanti, il generale Carboni, difensore mancato della capitale – dove forze isolate e pochi civili tentarono di respingere i germanici - riprese a sviluppare quelle argomentazioni, per spogliarsi dello scomodo ruolo di carnefice della libertà e assumere quello di vittima della vile intesa col nemico. Puntava il dito sul collega Ambrosio, ancora più che sul sovrano. Gelosie di casta.
Nel 1964, Ruggero Zangrandi rilanciò l’ipotesi dell’accordo, senza però aggiungere testimonianze e conferme, solo indizi, coincidenze, sospetti. Del resto, fino all’ottobre 1966 gli atti della Commissione Parlamentare d’inchiesta per la mancata difesa di Roma restarono segretati. Presidente era stato il comunista Mario Palermo. Il figlio Ivan, sull’Espresso, nel 1965 e poi l’agente americano nell’Urbe Peter Tompkins fecero sponda alla tesi del complotto per aprire la strada verso la costa adriatica. Ma sempre senza riscontri, anzi, tra secche smentite. Lo stesso Rossotto premette al suo saggio una dichiarazione del prof. Raimondo Luraghi, che pur non avendo partecipato agli eventi, assicurò di non aver mai creduto a un’intesa. Con decine di uomini coinvolti,
“prima o poi si sarebbe venuto a sapere. Invece nulla!”
La versione ufficiale italiana indica la fuga di Pescara come un rischio necessario, per sottrarre la Corona e il principe ereditario all’arresto da parte dei tedeschi. Se il progetto azzardato è riuscito, è solo per la confusione del momento e per il fattore fortuna. Insomma, il caso giocò a vantaggio dei Savoia e si accanì invece contro tutti gli altri militari italiani, in Patria e fuori: 650mila uomini, in parte uccisi, in massima parte deportati.
Proprio le coincidenze fortunate citate negli atti ufficiali fanno sospettare che il patto ci sia stato, rigorosamente rispettato da entrambe le parti. I resoconti dei protagonisti parlano di cinque fermate del vistoso convoglio reale (non mancò una sosta al castello di Crecchio, dei duchi di Bovino): la parola d’ordine ufficiali generali apriva i posti di blocco tedeschi. L’unico ad ammettere nel dopoguerra qualcosa più di una coincidenza, fu il capitano Gerard:
“una decina di auto in testa alla colonna avevano le tendine tirate. Non sapevo chi ci fosse, ma sapevo che chiunque fosse, poteva passare”
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