Il poema dei lunatici
- Autore: Ermanno Cavazzoni
- Casa editrice: Guanda
«Sono attratto da un racconto che pur provocando continuamente il riso per l’arbitrio che domina sovrano e toglie significato a ogni azione, gesto, pensiero, diventa a tratti straziante per il bisogno disperato di darglielo comunque un significato, perché la sua assenza stringe il cuore di paura, e rende la vita assurda […]”.
Queste sono le parole che Federico Fellini pronunciò durante una delle sue ultime interviste da cui traspaiono l’apprezzamento e la conseguente ispirazione che spinsero il regista di Rimini a trarre da “Il poema di lunatici” il suo ultimo film, “La voce della luna” (1990, con Roberto Benigni e Paolo Villaggio). E proprio questo suggestivo incontro tra il celebre regista e l’alquanto ignoto scrittore porta a riflettere a quanto Cavazzoni sia ancora oggi pressoché sconosciuto (purtroppo) dai lettori italiani.
“Il poema dei lunatici” (prima edizione Bollati Boringhieri 1987, ultima edizione Guanda 2010) è il racconto, senza dubbio comico e giocoso, delle peregrinazioni di Savini, presunto ispettore “de facto” dell’ufficio di igiene, nei luoghi della pianura padana. Ma non solo. E’ la trasposizione dei pensieri strampalati del protagonista e delle sue congetture fantasiose sui fenomeni inspiegabili della vita quotidiana; è l’incontro scanzonato con la gente comune del paese e delle cascine; è la descrizione delle basse campagne in cui echeggia lontano il Po, in quegli stessi paesaggi che ritroviamo anche in Gianni Celati nel suo “Verso la foce” (Feltrinelli, 1989).
Savini, con il suo candido e giulivo piacere della scoperta, è infatti alla ricerca di prove e di testimonianze su:
- le voci che abitano i pozzi:
“Qui in pianura si sentono dai pozzi spesso venire voci o lamenti, e ci si sente a volte chiamare per nome […] poi anche, mentre giravo a caso, mi han detto che si era trovato una volta un comizio in una bottiglia. Un comizio di un socialista, o quasi.”
- gli strani esseri che abitano nelle tubazioni dell’acqua e spiano la gente:
“Uno di loro mi ha detto che lui fa così: fa finta di accendere il gas e invece apre di colpo il rubinetto in modo che l’acqua venga giù per il tubo fortissimo. E allora quel tipo che sbircia si lamenta, facendo gli stessi rumori che fanno i tubi di solito, con una voce fastidiosissima, che è il suo modo di ferire la gente alle orecchie”.
- la vera natura della Madonna, un genere che popola le campagne ed appare all’improvviso:
“Come abitudini, comunque, la madonna non è chiaro che abitudini abbia, prima di tutto in campo alimentare. Ad esempio è difficile che ceni o che sia stata vista mangiare qualcosa, anche di molto leggero. A Spilamberto l’ha vista un fabbro diverse volte, e sentiva un odore particolare di arrosto o di strinato.”
- ed altro ancora!
Lo accompagna nelle sue esplorazioni l’eclettico “prefetto” Gonnella insignito, sostiene lui, da un non si sa quale ministero di una non si sa quale missione segreta, e una folta legione di beccamorti, locandieri, avventori del bar e pensionati in bicicletta.
I loro dialoghi suscitano, come detto, ilarità ma allo stesso tempo anche tenerezza o meglio quel sentimento di nostalgia misto a dolcezza che si prova nei confronti di chi è evidentemente un po’ emarginato e stralunato (e da qui il titolo del romanzo e del film di Fellini). Le loro pennellate pindariche di fantasia ci riportano in questa parte di Italia fatta di pettegolezzi, di tradizioni, di religiosità ma anche di profonda umanità.
Un romanzo molto particolare anche nello stile, in quanto presenta costanti inflessioni dialettali e scelte linguistiche particolari ma azzeccatissime. Difficilmente comparabile.
Il poema dei lunatici
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