Il poliziotto di Shanghai
- Autore: Qiu Xiaolong
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2017
Nella Cina di Mao, bastava poco ai bambini per diventare un cucciolo nero. Becoming inspector Chen, ovvero come Chen Cao è diventato l’ispettore Chen, è il titolo originale del romanzo in cui Qiu Xiaolong torna alle origini del suo popolare personaggio, il funzionario capo della polizia cinese che scrive poesie e che traduce dall’americano Thomas Stearns Eliot (come Qiu Xiaolong fa del resto nella realtà). È stato pubblicato in Italia da Marsilio, nel 2017: “Il poliziotto di Shanghai” (pp. 240, euro 18,00).
Puntualizziamo una volta per tutte che in Cina il cognome precede sempre il nome. L’onomastica cinese pareggia il trattamento che subiscono le nostre identità a scuola o in qualsiasi appello in ordine alfabetico: Qiu Xialong e Chen Cao suonano come Rossi Mario o Massimi Mario.
Si domanderà: cosa vuol dire cucciolo nero? È stata una pagina dolorosa nella vita di tante famiglie, fa presente Qui Xiaolong, pur con la sua proverbiale delicatezza. Resta innanzitutto un poeta, infatti, anche quando affronta argomenti poco leggeri, in questo libro che torna all’infanzia del futuro poliziotto poeta.
Negli anni della rivoluzione culturale maoista, cucciolo nero era il nomignolo affibbiato al figlio di un aborrito capitalista, quale poteva essere chi aveva fatto prosperare fino al 1949 una piccola fabbrica di profumi. Confiscata a metà degli anni Cinquanta, era diventata patrimonio statale, come ogni proprietà privata, ma l’ex padrone poteva ancora essere costretto dalle guardie rosse a fare autocritica in pubblico, per lo sfruttamento al quale aveva sottoposto i suoi quattro o cinque lavoratori, a fare ammenda del suo cuore nero, dello stile di vita borghese condotto prima del comunismo. Sebbene retrocesso a semplice operaio, addetto alle mansioni più dure in una fabbrica di Stato, veniva assoggettato a frequenti sedute di critica di massa, dalle quali si ritirava a casa moralmente malconcio e fisicamente segnato. Zoppicante, coperto di grossi lividi.
Nero è un aggettivo che ricorreva nella società maoista. “Mostro nero” era l’etichetta che pendeva sul padre di Cao nell’università ed esponeva il prof. Chen all’arbitrio delle guardie rosse del popolo.
“Intellettuale nero” è il dott. Zhang, un luminare della medicina, messo alla berlina da una squadra di diffusione del pensiero di Mao, composta da maestranze della fabbrica di guanti Numero Uno di Shanghai. E siamo già nei primi anni Settanta.
“Libri neri” erano quelli proibiti, invisi al regime, come “Amleto” e “Otello” di Shakespeare o i romanzi di Hemingway, Thomas Mann, Dumas. Tutti pericolosi eversori dell’opinione pubblica, come si vede…
La vicenda prosegue mettendo in luce, nello stile elegante di Qiu Xiaolong, assurdi comportamenti collettivi imposti dal fervore rivoluzionario e furbizie individuali che permettevano di sopravvivere. Grandi difetti pubblici e piccole virtù private.
Com’è che Chen Cao da potenziale diplomatico si ritrova poliziotto? Si deve agli imperscrutabili criteri di collocamento lavorativo delle autorità della Cina Popolare. Insomma, del Partito. L’impressione è che si decidesse un tantino a caso, come avveniva, per dire, ai tempi della leva obbligatoria in Italia, dove poteva capitare allo studente in filosofia di finire nella fanteria d’assalto, al diplomato d’arte di condurre carri armati e a chi aveva completato gli studi umanistici di dover fare di conto da furiere.
Cao, laureato col massimo dei voti in lingue straniere nell’università di Pechino, si attendeva un franco incarico presso il Ministero degli Esteri o in qualche Ambasciata. Ma la “contingentazione arbitraria”, che governava il sistema di lavoro nella Cina rossa, aveva messo in moto l’ottusa assegnazione statale, destinandolo alla sala lettura del Dipartimento di Polizia. Il compito? Tradurre un manuale di procedura penale americano. Poliziotto solo di nome, in mezzo a poliziotti veri.
Disincantato ma intraprendente, riesce a fare carriera mettendocela tutta, cacciandosi volontariamente, con cautela, nei casi hard boiled di cronaca nera, che non mancano di verificarsi anche nella Cina socialista dei sogni (o degli incubi).
Complicazione affari semplici: sembra l’ufficio più attivo in ogni segmento dell’organizzazione pubblica cinese, a quanto è dato osservare nel corso dell’attività investigativa del compagno ispettore. Per il resto, gli elementi della narrativa di Qui Xiaolong e dei primi nove titoli della saga di Chen ci sono tutti: il Vicolo della Polvere Rossa, la passione per la poesia, la cultura anglosassone, la letteratura, la buona cucina.
In chiusura, una rivelazione: il “ciucciolo nero” era il giovanissimo Qiu Xiaolong, ovviamente, che si impegna a scrivere l’autocritica del padre
“propugnatore dello stile di vita borghese e capitalista”
autoaccusa che risulta la condizione obbligatoria per autorizzare finalmente l’operazione di ricostruzione della retina, altrimenti rinviata sine die, alla quale doveva essere sottoposto il “letto diciassette”. I reietti erano considerati semplici numeri.
“Sei riuscito in una missione impossibile”
è il commento della madre del giovane e moglie del paziente.
“Fu la prima volta che ebbi fiducia in me stesso e nelle mie possibilità di scrittore”
riconosce l’ora maturo Qui Xiaolong.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il poliziotto di Shanghai
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