L’essere umano non si evolverà più. Ha probabilmente toccato la vetta, il “tetto massimo”, e lo ha toccato già diversi millenni fa.
Così Vasilij Grossman in alcuni appunti su Tacito contenuti fra le appendici al romanzo Il popolo è immortale, da poco uscito, al solito, per Adelphi (consueta, anch’essa, traduzione dell’ottima Claudia Zonghetti).
Dovremmo intendere l’assunto come un contraltare ai residui di volontarismo dell’autore impegnato di lì a poco a raccontare la guerra in presa diretta?
“Il popolo è immortale” di Vasilij Grossman: la guerra in presa diretta
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Fatto sta che Grossman, come ogni suo lettore sa bene, verrà inviato come corrispondente di guerra e prima di diventare lo scrittore superbo di Vita e Destino, vertice della sua opera, non lesina esercizi di ammirazione, esaltazione (stilisticamente pur sempre controllata) dei soldati russi, forte del suo idealismo e della convinzione di stare dalla parte giusta della storia.
Grossman non sa ancora quello che lo aspetta.
Non sa che la parte giusta della storia non è comunque proprio lineare o priva di crepe profonde – un conto è che la direzione sia nel verso opposto a quello inumano del nazismo, un altro è dimenticare quanta poca stima nutrisse egli stesso, più legato all’ala internazionalista, per Stalin.
Non c’era mai stata alcuna intesa nemmeno prima del conflitto, ma lo scrittore non immaginava che l’ostilità del partito nella parte finale della vita lo avrebbe relegato nell’oblio e costretto all’indigenza.
Magari sarebbe andata diversamente se non avesse sottovalutato il fatto che il nome del tiranno nei suoi taccuini dal fronte orientale non appariva se non sottotraccia e al più evocato nella pessima luce che meritava, e soprattutto se avesse capito che impegnarsi nella ricerca sui crimini antisemiti dei nazisti in terra sovietica avrebbe infastidito assai un regime che credeva di avere anch’esso buoni motivi per dare il proprio contributo all’odio anti-ebraico.
Grossman: uno scrittore in guerra
E si dà il caso che Grossman ebreo lo fosse in proprio; fu già una fortuna che non pagasse con la morte la campagna anti-cosmopolita che dalle parti di Mosca iniziò nel dopoguerra e negli ebrei trovava il bersaglio per eccellenza.
E si diceva, l’esaltazione del popolo russo durante il conflitto con i tedeschi fu mitigata solo dalla forza dello stile: in questo senso Il popolo è immortale è paragonabile a un altro titolo, forse meno noto in Itala, Uno scrittore in guerra. Ma al narratore al seguito delle truppe sovietiche che scrive le sue cronache belliche in prima persona, da embedded insomma, ora si sostituisce una struttura più romanzesca con l’invenzione di un personaggio principale narrato classicamente in terza persona, Sergej Alexandrovic Bogarev, nominato Commissario politico di battaglione.
Come il suo autore, non è un vero soldato, Bogarev è uno studioso, un teorico e ricercatore marxista ma anch’egli prova a farsi soldato fra i soldati, a seguire passo dopo passo carristi, soldati semplici, artiglieri mentre discute con i vertici, con alcuni dei quali non è in perfetta sintonia.
Se torna ricorrente il plauso al sentimento patriottico dei soldati russi - l’anima russa, secondo lunga tradizione, è salva - non altrettanto può dirsi dei vertici militari. L’Armata Rossa non sembrava all’altezza del compito immane cui si trovava di fronte e più volte rischiò seriamente di soccombere. Era stata colta di sorpresa, anche per l’incapacità dei vertici, spesso gente inesperta ivi piazzata da Stalin per sostituirne altra a lui poco gradita.
Recensione del libro
Il popolo è immortale
di Vasilij Grossman
Grossman non lo nasconde, ma all’impasse tecnica di una strategia fallimentare, dovuta anche all’incapacità di comprendere, come suggeriva un suo vecchio docente esperto di cose militari, “l’importanza dell’interazione stretta e dinamica fra i vari corpi delle forze armate”, risponde con orgoglio il popolo sovietico, molto più generoso e determinato dei suoi capi.
Riescono anche a ridere, a fare battute, soldati pronti a tutto che si mischiano ai contadini che cercano di aiutare come possono.
Come fanno notare i curatori fu una fortuna per lo scrittore (e per noi suoi lettori) che non prendessero sul serio le sue velleità militari (era goffo e sovrappeso) e ne avessero limitato, si fa per dire, il contributo al racconto della strenua difesa del territorio. Semplici, ligi al dovere morale di una legittima difesa delle proprie vite, comuni mortali, anche donne, giovani che di Marx non avevano letto nulla, i piccoli eroi di Grossman offrono la versione migliore dell’uomo sovietico che nei posti di comando spesso appare assai meno nobile.
Laddove invece i soldati tedeschi vengono descritti come miserabili e vigliacchi, pronti a tradire per salvarsi la pelle.
“La spietata verità della guerra” di Grossman
Dopo questo primo romanzo, per così dire “in diretta” sulla guerra fra tedeschi e sovietici, rivisto con acribia dai curatori dopo la lunga serie di tagli e accomodamenti censori, con aggiunta di appendici e appunti sparsi, ricco delle stesse mirabili descrizioni che torneranno nei libri successivi, dovrà aspettare un po’ lo scrittore per capire quanta indifferenza susciterà in troppi russi la sorte degli ebrei – sarà un caso che per diventare un grande scrittore Grossman dovrà attraversare l’inferno senza pari di Stalingrado e, con Tacito, fare l’elogio del coraggio e dell’intelligenza, della verità e dell’amicizia; ma soprattutto fare i conti sino in fondo con “la spietata verità della guerra” e mettere in secondo piano la mozione degli affetti?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Perché leggere “Il popolo è immortale” di Vasilij Grossman
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