Ralph Waldo Emerson (1803-1882), pensatore e poeta statunitense, è considerato l’iniziatore del trascendentalismo, un indirizzo filosofico che si richiama a Hegel e a Schelling, basato su una concezione in cui la sola realtà sarebbe quella trascendente, forma a priori di ogni realtà concepibile. Questa corrente può essere intesa anche come una forma di romanticismo puritano, i cui esponenti videro nell’uomo una parte della sacralità originaria che lo rende uguale a ogni altra componente della natura e interprete diretto della religione, poiché nella natura vi è una “scintilla di divinità”.
L’opera di Emerson è influenzata dai romantici europei, nei suoi libri egli critica l’attacco alla natura operato dal mercato e il modello economico capitalista degli Stati Uniti, visto come un imperialismo interno basato sullo sfruttamento.
Grande amico e allievo dell’autore (ma mai trascendentalista) fu Henry David Thoreau (1817-1862), a cui è dedicato questo articolo, che sull’ambiente, tuttavia, sviluppò idee più radicali, poiché fu maggiormente attento all’analisi concreta della natura, della quale l’uomo è parte integrante. A essa Thoreau riconobbe la forza selvaggia, indomabile e vi cercò la purezza incontaminata. Criticò aspramente la conquista del West, lo spirito della frontiera, il razzismo verso i nativi e altri aspetti che facevano parte della quotidianità nordamericana della sua epoca. Fu inoltre un sostenitore dell’abolizione della schiavitù, nel 1846 scelse di non contribuire alle spese militari del suo paese e predicò un ritorno all’essenziale: “Quando l’agricoltore ha ottenuto una casa” scrisse, “può darsi che non sia diventato più ricco ma bensì più povero, e che sia la casa ad aver preso lui”.
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Nella natura selvaggia, Thoreau individuò la strada dell’uomo verso il recupero della moralità e del senso del limite così come era inteso dai Greci. La consapevolezza del limite, evoluta in senso ecologista, è una conoscenza indispensabile per mantenere l’ordine del mondo, che è bellezza.
Nel 1845, lo scrittore si ritirò presso il lago di Walden, dove edificò una casupola in cui trascorse due anni; questa esperienza è stata trasposta dall’autore nel suo libro più famoso, Walden. Vita nel bosco, pubblicato nel 1854.
“Verso la fine del marzo 1845, presi in prestito un’ascia e mi diressi nei boschi presso il Lago di Walden, vicino al luogo dove intendevo costruirmi la casa, e cominciai a tagliare dei pini bianchi, alti, appuntiti e ancora giovani, per ricavarne legname. È difficile dare inizio a qualcosa senza prendere nulla in prestito, ma forse è la maniera più generosa, che permette al prossimo di avere un interesse nella vostra impresa. Il proprietario dell’ascia, mentre me la lasciava, disse che era la pupilla dei suoi occhi; ma io la restituii più affilata di come l’avessi ricevuta.”
Isolandosi vicino al lago condusse un’autocritica costante e propose un rinnovamento dell’educazione nella riconciliazione con l’ambiente e all’insegna di ciò che, per lui, era il pieno godimento della vita:
“Andai nei boschi perché desideravo vivere deliberatamente, affrontare solo i fatti essenziali della vita, e vedere se non potessi imparare cosa avesse da insegnare, senza scoprire, giunto alla morte, di non aver vissuto. Non desideravo vivere ciò che non era una vita, per quanto caro mi sia il vivere; né desideravo praticare la rassegnazione, a meno che non fosse necessaria. Volevo vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, vivere in modo così risoluto e spartano da sbaragliare tutto quanto non fosse vita; da aprirmi con la falce un varco ampio e raso terra, da spingere nell’angolo la vita e ridurla ai minimi termini.”
Ne deriva anche un’affermazione delle libertà individuali, svincolate dai condizionamenti delle istituzioni, ma rispettose delle risorse disponibili, in un’ottica di equa distribuzione della ricchezza tra le classi sociali.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il rapporto tra uomo e natura in Henry David Thoreau
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