Il re di Girgenti
- Autore: Andrea Camilleri
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
"Il re di Girgenti" (Palermo, Sellerio, 2001; sesta edizione 2002), che nasce da un episodio di cronaca commentato nella nota finale da Camilleri, intreccia uno stile dalle venature boccaccesche e ariostesche con il contesto della mentalità contadina. Vi campeggia la biografia inventata di Michele Zosimo, la cui storia familiare e personale scorre tra la fine del Seicento, quando erano gli spagnoli a dominare il territorio dell’Isola, e l’inizio del Settecento, dopo il trattato di Utrecht, in base al quale la Sicilia fu ceduta a Vittorio Amedeo di Savoia. L’incipit ha un tono favolistico e la trama si sviluppa, accumulando digressioni e divagazioni, tipiche del romanzo picaresco. Duplice il registro comunicativo: da un lato, l’oralità dei contadini, dall’altro, il parlare spagnoleggiante dai signori usato anche per rivolgersi ai dipendenti. Tra speranze di riscatto e perverse carnalità, tra astuzie ingegnose e fatti inauditi si apre così il ventaglio di numerosissime macrosequenze che si dispiegano in un magmatico plurilinguismo: ora incline al carnascialesco, ora all’accecante ferinità, ora all’abbandono nel sogno. Suggestiva la narrazione dell’infanzia di Zosimo. Precoce in ogni suo atto, parla a sette mesi, e data l’eccezionalità dell’evento intervengono gli scongiuri e i riti stregoneschi di padre Uhù: personaggio grottesco che dialoga con i diavoli ai quali scaglia incomprensibili anatemi allo scopo di accertare se fosse stato qualcuno di essi ad impossessarsene. Profondamente attento si rivela Camilleri nel cogliere i caratteri d’una pedagogia rurale basati su parabole, insegnamenti diretti e giochi sia spontanei che di costruzione. Fra questi ultimi a spiccare in una delle pagine più poetiche è la preparazione dell’aquilone: una "comerdia", una cometa volante. Non meno accattivanti quelle in cui si parla di un mago "strolòco". Evidente allora il fascino esercitato nello scrittore dal “realismo magico”. Anche l’incontro di Michele Zosimo con il mendicante Grigoriu che parlava in poesia provoca il senso del meraviglioso. Lo stesso può dirsi di Salamone, il prete divenuto brigante che gli alimenta il senso della giustizia. Siccità e carestia favoriscono il saccheggio dei montelusani nelle case dei benestanti. Le scene richiamano alla mente la novella di Verga Libertà, rivisitata con le lenti d’una follia grottesca. La rivolta popolare costringe i savoiardi alla resa e Zosimo può così diventare Re per volontà popolare, dando attuazione al rilevamento dei feudi e alla loro spartizione. Di intenso pathos, a conclusione dell’opera, la sua impiccagione. Vittima sì egli di una condizione subalterna da cui non può sfuggire, ma pur sempre libero di volare con la fantasia. Ed ecco lanciare in aria l’aquilone che si era costruito il giorno prima dell’esecuzione, seguendolo fin quando si confonde con una nuvola. Giunto al quarto dei sei gradini del patibolo, si accorge del suo ritorno. Zosimo, leggiamo, agguantò lo spago
"con le due mano sentendo uno strappo violento, certamente quello della comerdia che ripigliava movimento e altezza. Lesto, principò ad acchianare lungo lo spaco e inveci di provare stanchezza per la faticata a ogni bracciata si sentiva cchiù leggiu e cchiù liberatu. A un certo punto si fermò e taliò verso terra (…) e in mezzo alla piazza vitti macari il palco e una cosa, una specie di sacco, che pinnuliava dalla forca dunnuliando. Rise. E ripigliò ad acchianare".
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