Il senso della lotta
- Autore: Michel Houellebecq
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Bompiani
Squarci lirici, illuminazioni improvvise che si alternano a rapide prose aforistiche sono gli strumenti che Michel Houellebecq utilizza, con precisione quasi chirurgica, ne Il Senso della Lotta (Bompiani, 2000, edizione bilingue): un’esplorazione poetica che dalla frenesia metropolitana si muove verso la solitudine notturna di corpi che impongono limiti e bisogni, per correre ai ricordi di un’infanzia e di un’amore che non torneranno.
Al di là delle metropolitane di superficie, dei palazzi e dei cartelloni della pubblicità, i versi de Il senso della lotta sembrano riecheggiare (anche attraverso l’uso dell’alessandrino) il sempre-uguale baudelairiano:
“Il giorno si leva e cresce, ricade sulla città
Abbiamo attraversato la notte senza sollievo
Sento gli autobus e il brusio sottile
Degli scambi sociali. Accedo alla presenza.Oggi avrà luogo”.
L’identico accadere dei giorni si manifesta, asfissiante, sotto la luce del giorno rivelando il peso della carne solitaria, il corpo come ostacolo e come presenza difficile da sopportare, l’affannarsi per andare avanti, avanti, in una solitudine annichilente dove “è davvero molto strano vedere gli altri vivere”, osservare la vita come la si può leggere in un libro, senza emozioni e senza rimpianti.
Distanza insondabile dal mondo, spersonalizzazione - resa, in molti componimenti, anche linguisticamente con l’aiuto di un’inconsueta terza persona - che attraversa notti animate da immagini pallide e sbiadite, di un uomo che
“sfiora gli oggetti con mano esitante
gli oggetti sono lì, ma la sua mente si assenta
(…) alla ricerca di un senso”
Se la lotta è per Michel Houellebecq la dimensione – sempre più estesa nel liberalismo, come racconta Estensione del dominio della lotta – dove gli individui si confrontano e si scontrano, stabilendo il predominio degli uni sugli altri, attraverso l’accumulazione di ricchezza e di conquiste sessuali, il senso di quella lotta in realtà non è dato.
Sono i centri commerciali, gli ipermercati, gli hotel delle località turistiche dove si consuma l’ennesimo, indispensabile, inutile, amplesso, a rivelare individualità interscambiabili e vuote, cose, piuttosto che uomini:
“Non ci sono che oggetti, oggetti fra i quali si è se stessi
immobilizzati nell’attesa,
Cosa fra le cose,
Cosa più fragile delle cose
Gran povera cosa
Che aspetta sempre l’amore
L’amore, o la metamorfosi”
È l’amore sperimentato in un’adolescenza lontana che non tornerà o l’amore finito e ormai vagheggiato attraverso gli oggetti che lo ricordano.
Nella crudezza delle strofe di Michel Houellebecq non c’è sofferenza, quanto piuttosto una pervasiva disperazione restituita, attraverso immagini sempre concrete, al lettore che non può fare a meno di rimanerne contagiato. Emerge un quadro a tinte fosche dove la presenza umana è interpretata in modo distaccato e feroce, attraverso il filtro sempre presente di un pensiero che, tradendo la formazione scientifica dell’autore, disseziona implacabilmente il reale e, svuotato di ogni emotività, coglie con orrore e vertigine lo spettacolo dei nostri tempi.
Il senso della lotta
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