Il senso delle cose
- Autore: Claude Simon
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
Romanzo dalla scrittura inclassificabile, il pensiero in un incessante divenire, eretico, in una invenzione continua perché l’ideologia per Claude Simon è ricerca.
Il senso delle cose (Contrassegni, 1999, traduzione di Roberto Marro) predispone il lettore a uno dei romanzi strutturalmente più elaborati di tutto il Novecento letterario.
Era da tempo che volevo scrivere di Claude Simon, del perché fosse stato contestato per l’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura nel 1985, della sua prigionia in un campo nazista nel 1940 e della sua evasione, della corrente letteraria Nouveau Roman alla quale aderì, della sua scrittura translucida come l’ha definita il quotidiano francese Le Figarò.
Negli anni Cinquanta insieme a Robbe-Grillet, Butor, Pinget, anche Claude Simon fece parte del Nouveau Roman, corrente innovativa, sperimentale che in opposizione al romanzo esistenzialista imponeva la frantumazione dei soggetti narrativi, delle fondamenta del romanzo, rifiutando di raccontare una storia alla quale il lettore poteva affezionarsi e attraverso trame labirintiche sostenere il sogno e il ricordo, le loro dimensioni e sovrapposizione, proprio come nella vita reale.
Una scrittura difficile, quella del nostro autore, con le frasi che scivolano come la piena di un fiume, senza punteggiatura, con le parole che si intrecciano a formare immagini e il suo ricordo che diviene la deformazione di un fatto realmente vissuto: una memoria della memoria. Scriveva a penna tutti i pomeriggi, e su di una parola rimaneva per ore, quasi ad accanirsi sul suo significato, gli costava una fatica immensa: il suo era tendere a uno stretto rapporto tra scrittura e immagine visiva.
Ne Il senso delle cose sono tre le storie che si susseguono, a volte confondendosi e incrociandosi nello spazio tempo, quasi cronometrico: tre soldati accerchiati dalle truppe nemiche, due operai intenti nell’opera di muratura di una stanza e una donna e il suo tradimento.
Siamo all’inizio della Seconda guerra mondiale, i soldati dopo la ritirata in seguito all’avanzare delle truppe tedesche, hanno trovato rifugio in una casa abbandonata nel sud della Francia, in una stanza con alle pareti vari quadri tra i quali una riproduzione di Monet.
Il tema della guerra sarà un elemento autobiografico, e per Simon diverrà frequente e ossessivo. All’orizzonte non si intravede più l’ultimo dei blindati e dei veicoli della colonna in lontananza; il mitragliere è sdraiato su un lungo tavolo da cucina disposto leggermente di sbieco davanti alla finestra. Il calcio dell’arma è contro la spalla destra e la mano sinistra serrata intorno a un manicotto che consente di regolare l’alzo. Resta immobile e contratto, con il dito sul grilletto, fissando insieme all’armiere che gli è accanto, il bosco.
Sui loro volti, nel loro sguardo a un tempo inebetito e acuto, sembrano sovrapporsi e coesistere il ricordo abolito, già lontano, di giorni spensierati, e l’esperienza maturata anzitempo, senile, condensata e inguaribile della disgrazia.
La linea immaginaria che unisce l’occhio e il mirino si conclude nell’orizzonte degli alberi. Il mitragliere attenderà nella sua posizione il suono dei passi di un altro soldato, pronto a dargli il cambio che si distenderà a sua volta sul tavolo con gli occhi alla finestra.
Nulla cambia nella sovrapposizione alla nuova storia; nella stessa stanza della casa il più giovane dei due operai assesta i colpi e il suo compagno abbatte poco a poco il tramezzo. A terra giornali, macerie, bottiglie. L’intonaco viene giù con i colpi di mazza e la nuvola di polvere riempe la stanza. Il vecchio operaio accompagna le sue parole con i movimenti del capo, indicando gli oggetti di lavoro di cui ha bisogno.
Sotto quei colpi che scuotono la casa, le macerie, le pietre, la visuale si allarga su di una bambina ai piedi della collina e a un uomo e una donna che camminano in coda e si attardano allontanandosi dal gruppo dei gitanti.
I gitanti fanno un’altra sosta in cima alla scogliera. Seduti sull’erba, contemplano l’immensità a un tempo immobile e cangiante che si stende dinanzi a loro.
La giovane donna dopo aver ripreso il cammino, guarda l’uomo che è con lei. Sentirà i suoi baffi sul collo, le sue labbra, e nello scostare il viso la sua mano è tra i capelli dell’amante.
La giovane donna getta improvvisamente le braccia intorno alle spalle dell’uomo e si stringe convulsamente a lui. Lui dice via, andiamo e le accarezza i capelli.
Claude Simon descrive meticolosamente ogni cosa, gli oggetti, le combinazioni tra assonanze e associazioni, ossessioni e ricostruzioni come in un spartito musicale alla ricerca del tempo perduto, di un’armonia tra gli elementi diversi della scrittura, capaci di evocare il sentimento della rivelazione.
E come per Roland Barthes anche per l’intellettuale Simon il rinnovamento letterario destinerà la giusta attenzione all’eredità della tragedia che raccoglie l’infelicità umana, e al significato del tragico nel mondo contemporaneo.
Il senso delle cose
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