Il sergente nella neve
- Autore: Mario Rigoni Stern
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
Il libro presenta le vicende dell’unità di alpini sul fronte russo di cui il protagonista-narratore fa parte. Il romanzo inizia sul Don, il grande fiume russo vicino al quale gli italiani si sono trincerati per difendersi dagli attacchi dei russi. Gli uomini trascorrono le giornate all’insegna della dura vita di trincea, dormono in baracche fatiscenti insieme ai topi e svolgono il loro servizio di guardia e pattuglia.
Una situazione non certo allettante per un borghese, ma che è ancora nulla in confronto agli avvenimenti successivi. Mentre inizialmente il contingente italiano si ritrova a dover affrontare gli attacchi agguerriti dei russi, riuscendo a respingerli in maniera efficace, ben presto la situazione crolla.
Il caposaldo si ritrova circondato da un giorno all’altro da forze soverchianti e inizia così la lunga marcia di fuga che porterà gli alpini italiani ad un massacrante viaggio, sotto gli sporadici attacchi del nemico ma specialmente colpito da quello che è il più temibile avversario degli eserciti che attraversano il suolo russo: l’inverno.
Quest’ultimo causerà più perdite di qualsiasi combattimento, di qualsiasi assalto od operazione.
I soldati crollano, stremati da una marcia forzata sovrumana e da un freddo che il corpo umano non può tollerare. Il sergente Mario Rigoni Stern, al fianco dei suoi compagni d’arme, può appoggiarsi al cameratismo, ma si ritrova di fronte anche al dramma del vedere gli animi crollare e la sua unità dissolversi di giorno in giorno a causa delle numerose vittime.
Ingiustamente liquidato nel periodo della sua pubblicazione come semplice racconto di guerra, questo romanzo ha uno spessore umano - oltre che storico - che permette di percepire in tutta la sua umana tragicità il dramma che hanno vissuto gli uomini dell’ARMIR. Questi uomini si sono ritrovati a combattere in una guerra preparata frettolosamente per ragioni di prestigio del Regime e ne hanno pagato le conseguenze, combattendo contro un nemico agguerrito e affrontando prove disumane.
Dopo la triste dipartita del suo grande autore, questo romanzo resta la sua ultima testimonianza che ci permetta di conoscere le vicende e le vicissitudini di quei soldati.
Il sergente nella neve
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grazie mille mi avete fatto la recensione e ho preso anche nove perchè la prof nn si è ne neanke accorta...cviao un saluto da carlo salvatore
Non è il mio genere di romanzo preferito, ho amato alcuni romanzi di guerra, ma questo è ripetitivo, pesante e non c’è ritmo nella narrazione; ma credo fermamente che ogni testimonianza di male, che vada da uno schiaffo a un omicidio, va ricordata perché ai posteri non venga presa come esempio ma come denuncia di ingiustizia.
Trovo ingiusto che un dodicenne sappia chi è Hitler e tutto ciò che ha fatto, mentre è ignaro di personaggi come, per esempio Lincoln, Mandela o Ghandi, trovo ingiusto che si ricordino più, che siano più conosciuti, personaggi che non ne hanno l’onore, ma poi capisco che se il male non venisse ricordato si riproporrebbe nel tempo più di quanto già lo si ripropone. In questo romanzo c’è l’importanza della memoria, il ricordo che si è violata l’umanità attraverso la guerra, il ricordo che si doveva uccidere per vivere. Il linguaggio semplice è efficace in quanto descrive un contesto duro e pesante che il protagonista vive con profonda angoscia interiore.
Un racconto di grande coraggio, umanità e speranza che che vale la pena di leggere!
Mario Rigoni Sterne, alpino e sergente maggiore della Divisione Vestone nella guerra di Russia (1942-43), testimone oculare dei fatti narrati, che si dispiegano in forma cronologica, salvo brevi flash back e anticipazioni, racconta, con un linguaggio semplice, con una sintassi non sempre perfetta e con l’introduzione di forme linguistiche prese in prestito dai vari dialetti italiani e dal vocabolario russo (mugika, balca , stastarosta) in prima persona e, talvolta, con il noi le azioni collettive le azioni militari ma soprattutto le attese e le speranze delle truppe italiane ferme su non ben identificate località sul fiume Don fino alla battaglia finale di Nikolajewka, il 26 gennaio 1943.
Il racconto si suddivide in due parti: il caposaldo (linea di guerra) e la sacca (spazio di accerchiamento). Le due sezioni corrispondono a due ben distinti momenti della guerra di Russia ( “Operazione Barbarossa”), la prima racconta la linea di guerra, a mo’ di trincea sul fiume Don alla fine dell’anno 1942 e l’ altra la tragica e ultima battaglia e la ritirata di ciò che restava dell’ottava armata italiana (ARMIR), delle divisioni tedesche e dei reparti ungheresi.
Nella prima parte la narrazione ha un andamento lento, come di attesa. I soldati sono nelle loro “tane” e aspettano il nemico. Qualche incidente rompe la quotidianità faticosa e incerta dei soldati che faticano a liberarsi dai pidocchi che fanno bollire negli stessi pentoloni nei quali cucinano la polenta, la polenta che viene consumata come cibo per il Natale 1942, che usano i noni delle fidanzate come parole d’ordine, che si fanno forza a vicenda raccontando di quello che vogliono fare quando torneranno a “baita”. L’atmosfera è di attesa, di un’attesa pesante, ognuno sa che si dovrà combattere e che il futuro è molto incerto: la fame, le trincee, i camminamenti, i russi appostati che di tanto in tanto sparano le truppe fraternizzano e si parlano nei rispettivi dialetti e tutti si comprendono. Tutti nel loro cuore sperano. Un soldato semplice è più caro degli altri al narratore: Giuvanin, un alpino insicuro e freddoloso che, in ogni occasione, chiede al suo comandante e sergente maggiore: “Sergentemagiù, ghe rivarem a baita?” e il comandante lo incoraggia: “Sì, Giuvanin, ghe arriverem a baita” Ma Giuvanin mai tornerà “a baita”, come la maggior parte dei commilitoni di Rigoni Sterne.
Nella seconda parte del racconto (la sacca) viene narrata la ritirata e l’ultima grande battaglia di Nikolajewka il 26 gennaio 1943 che conclude ormai la campagna di Russia. Dopo questa data ci sarà il lento e difficile ritorno di pochi superstiti, tra cui il “sergentù” verso l’Italia attraverso l’Ucraina, che si riconosce per i suoi dolci paesaggi verdeggianti e poi la Polonia. Nel ritorno dei soldati a piedi verso casa acquistano una fondamentale importanza le isbe e le donne russe.
L’autore riesce a cogliere l’umanità anche nella guerra; con occhio lucido e obiettivo racconta e si racconta in una semplicità disarmante quando; un giorno, riunitosi ai suoi commilitoni, sorride a se stesso quando vede dallo specchio un pidocchio che gli cammina sul collo, l’importante è essere vivi.
A mio parere, per la facilità del linguaggio e per il messaggio positivo verso il futuro , questo racconto può essere proposto ai tutti gli studenti.