Il settimo sigillo
- Autore: Ingmar Bergman
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Iperborea
- Anno di pubblicazione: 2017
Ogni morso, ogni abrasione, ogni frattura intrapsichica del cinema di Ingmar Bergman è in fondo riconducibile a un dilemma di senso ontologico. All’assunzione di coscienza del nostro heideggeriano esser-ci per la morte. I film di Ingmar Bergman (ri)conducono il cinema a uno statuto metafisico. Piuttosto che nei tentativi di stemperare il peso specifico della drammaturgia con intermezzi ironici, il Bergman più autentico lo ritrovi (per esempio) negli onirismi psicanalitici di Il posto delle fragole, nella trilogia del silenzio (di Dio) - Come in uno specchio, Luci d’inverno, Il silenzio -, nel livido affresco tanatologico di “Il settimo sigillo”, ed è di questo, nella fattispecie, che stiamo parlando.
Il settimo sigillo poggiato su dialoghi che saturano il medioevo “fantastico” di luce cupa e incisiva al contempo. Il settimo sigillo apologo mirabile sulla morte. Poggiato su dialoghi-propaggine teatrale: asciutti, diretti, taglienti come un bisturi, che reggono la pagina come la scena. Quelli che seguono sono desunti dalla sceneggiatura originale, da poco ri-editata da Iperborea nella collana LUCI.
L’incipit è imprescindibile. In una Scandinavia preda della peste, il nobile cavaliere Antonius Block, ritorna dalla Terra Santa e su una spiaggia trova ad attenderlo la Morte:
“CAVALIERE: Chi sei?
MORTE: Sono la Morte.
CAVALIERE: Sei venuto a prendermi?
MORTE: E’ già da molto che ti cammino a fianco.
CAVALIERE: Me n’ero accorto.
MORTE: Sei pronto?
CAVALIERE: È il mio corpo che ha paura, non io”. (p. 8)
E più avanti, al cospetto della strega-bambina, incrociata morente sul rogo, lo sgomento dialogo tra lo stesso Cavaliere e Jons, il suo scudiero.
“Il fumo si abbatte improvvisamente su di loro, facendoli tossire. I soldati si avvicinano e drizzano la scala contro un pino. Tyan pende abbandonata, con gli occhi spalancati. Il Cavaliere si è rialzato, Jons è appena dietro di lui. La sua voce è quasi strozzata dalla rabbia.
JONS: Che cosa vede? Me lo sai dire?
CAVALIERE (scuotendo la testa): Non soffre più.
JONS: Non hai risposto alla mia domanda. Chi veglia su quella bambina? Gli angeli, Dio, il diavolo, o soltanto il vuoto? Il vuoto, signore!
CAVALIERE: Non può essere così.
JONS: Guarda i suoi occhi, signore. La sua povera coscienza sta facendo una scoperta: il Vuoto sotto la luna.
CAVALIERE: No.
JONS: Stiamo qui impotenti, con le braccia inerti, poiché vediamo quel che vede lei e il nostro orrore è uguale al suo”. (pp. 80-81)
Questo scambio di battute riassume paradigmaticamente la tematica esistenziale sottesa a tutto il cinema di Bergman: da un lato l’uomo di fede dilaniato dai dubbi (il Cavaliere) dall’altro l’acceso materialista (lo scudiero). Sullo sfondo qui c’è un mondo pre-apocalittico, divorato dall’angoscia, incapace di assimilare il valore in sé dell’essere uomo. Forse persino quello della paura.
Durante la partita a scacchi per stazioni ingaggiata con la Morte ne “Il settimo sigillo”, Antonius e il suo scudiero, si imbatteranno (non a caso) in una costellazione di figure altrettanto dicotomiche: alcune dedite ad atti penitenziali, altre agli ultimi piaceri della carne. Alcune fedeli altre infide come si dice lo siano i serpenti.
Non mi dilungo oltre, poi il film lo conoscete, no? Un capolavoro icastico, leggendario, assoluto. Questa sceneggiatura che si legge come un vero romanzo lo è altrettanto. Efficace la traduzione dallo svedese di Alberto Criscuolo, densa la postfazione di Goffredo Fofi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il settimo sigillo
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