Sono poche le poesie che narrano la vecchiaia, specialmente nei suoi aspetti meno figurativi e più introspettivi, come la solitudine.
Molti anziani oggi vengono abbandonati nell’indifferenza, lasciati soli nelle loro case, marginalizzati; se non hanno una malattia o un bisogno evidente si dimentica il loro diritto alla socialità e alla vita pubblica. Possiamo alleviare la loro sofferenza invisibile? Cosa facciamo davvero per porvi rimedio?
Perché il rimedio c’è, ne parla Alda Merini in una toccante lirica intitolata Il sole dei vecchi, capace di toccare un nervo scoperto della contemporaneità.
Festa dei nonni: l’esigenza di raccontare la vecchiaia
Negli anni abbiamo sviluppato una narrazione pittorica della vecchiaia (pensiamo alla classica figura stereotipata della vecchina con i capelli bianchi che fila la lana) che ne tralascia le evidenze: è una stagione edulcorata della vita, ricoperta di zucchero e candore come una torta con glassa; oppure non esiste.
L’altro danno enorme che stiamo compiendo nella società attuale è quello di non vedere le vecchiaia, di evitare di considerarla e di metterla ai margini, quasi fosse sconfitta in partenza. La vecchiaia nel XXI secolo è diventata una delle “cose che non si raccontano”, uno dei grandi “non detti” in un mondo che non fa altro che narrarsi e ha fatto dello storytelling la propria cifra distintiva, il motore stesso di un’economia basata sull’intrecciarsi di solide (quanto vacue) apparenze.
La nostra è una società “per giovani” - che ha fatto dell’inno alla giovinezza il proprio elisir di lunga vita, scatenando vere e proprie schizofrenie di massa, come la cosiddetta sindrome di Dorian Gray; filtri e app dello smartphone ringiovaniscono il viso, spianano le rughe, arrivando persino a colmare le lacune lasciate da make-up e filling di varia natura.
In quest’ordine delle cose la vecchiaia è diventata un grande rimosso collettivo; ma è giunto il momento di rimetterla al centro con una narrazione inclusiva in grado di toccare anche il tema dell’accudimento e della cura. La ricorrenza annuale della Festa dei nonni può rappresentare un’occasione di riscatto utile a risvegliare l’attenzione sulla vecchiaia e, soprattutto, a porre l’accento sulla sua rappresentazione.
Ne Il sole dei vecchi, Alda Merini si focalizza sulla solitudine delle persone anziane, che è una verità spesso poco raccontata. La stessa Merini parlò apertamente della sua vecchiaia nel libro in prosa La pazza della porta accanto, edito da Bompiani nel 1995:
Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita.
La vecchiaia ha radici, dice Merini con una poeticità in grado di definire le cose nella loro più intima essenza. In quelle “radici” è racchiusa anche la dignità delle persone anziane, che non deve essere calpestata né svilita: dovremmo onorare i vecchi come patrimonio nazionale, poiché custodiscono la Storia e un passato a noi ignoto, abbracciarli, stringere le loro mani e farli sentire parte del presente come un elemento necessario e non decorativo.
Proprio sulle mani si focalizza infatti la poesia di Alda Merini che ribadisce la necessità di cura, di protezione e - non da ultimo - il passaggio di testimone generazionale insito nel processo di accudimento.
Vediamone testo, analisi e commento.
“Il sole dei vecchi” di Alda Merini: testo
Il sole dei vecchi
è un sole stanco.
Trema come una stella
e non si fa vedere,
ma solca le acque d’argento
dei notturni favori.
E tu che hai le mani piene
d’amore per i vecchi
sappi che sono fanciulli
attenti al loro pudore.
“Il sole dei vecchi” di Alda Merini: un commento
Nella sua poesia Merini applica un interessante ribaltamento: nella seconda parte scardina ogni certezza ribadendo che i “vecchi sono fanciulli attenti al loro pudore”.
Si instaura così un parallelismo tra infanzia e vecchiaia, che spesso viene ribadito in molteplici narrazioni quando si afferma che invecchiare è come tornare bambini.
Le età della vita sembrano unirsi come in un cerchio, affermando così una continuità indissolubile, ma anche un principio di necessità.
Ciò che Merini afferma in questi versi - fortemente autobiografici come tutta la sua poesia - è che gli anziani hanno bisogno di amore, di attenzione, di cura, non meno dei bambini; ma sono troppo orgogliosi, hanno troppa vergogna di sé per poterlo chiedere, a differenza dell’imperativa volontà dei fanciulli che sono così abili nel piegare gli adulti ai propri desideri, talvolta operando una sorta di innocente tirannia.
Le persone anziane non chiedono, raramente pretendono una carezza, un’attenzione in più, eppure segretamente invocano conforto. Il nodo struggente della poesia di Alda Merini è colto in questo dissidio taciuto, che resiste silenzioso sotto la scorza indaffarata della quotidianità più frenetica. Qual è dunque il rimedio?
La poetessa scioglie il nodo nella seconda parte della poesia e lo fa attraverso un gesto. Il conforto è dato dal corpo, dal tocco salvifico di “mani piene d’amore”. Il contatto può spezzare il maleficio della solitudine; nelle mani è racchiuso il vero prodigio, perché le mani possono accudire, sostenere, infine farsi tramite di quel passaggio generazionale che è linfa stessa della nostra vita. Lo scarto tra le due generazioni è dato proprio dalle “mani piene” che si contrappongono alle “mani vuote”; ma in questa differenza si cela anche la salvezza, poiché afferrandosi le une con le altre possono rimediare alle loro mancanze, diventando reciproco dono.
In occasione della “Festa dei nonni”, che cade come da tradizione il 2 ottobre di ogni anno, non c’è gesto più commovente da ricordare: stringere le mani delle persone anziane è un momento prezioso, impagabile. Teneteli stretti bambini i vostri nonni, abbracciateli, non date mai per scontate quelle mani che vi sostengono, che vi accompagnano, che si fanno strada e guida. Quante ferite hanno guarito quelle mani con un semplice tocco, hanno curato febbri e malanni, e a quanti pasticci hanno saputo rimediare; in quelle mani, ora tremanti, è custodita la stessa saggezza secolare di una quercia, le radici supreme della nostra vita, ciò che ancora adesso ci tiene legati, con un affetto mai saziato, ai bambini che siamo stati e all’età ingenua in cui concepivamo la vita come una sorpresa e un eterno mistero. C’è stato un tempo in cui quelle mani avevano una soluzione a ogni nostro affanno, sapevano farsi scudo e fortezza: ora, che la luce è cambiata e la vita è illuminata da un sole diverso, più opaco, è il momento di invertire i ruoli, di ricordare che è il nostro turno di divenire solido “scudo e fortezza”.
Possiamo stringere le mani dei nostri nonni e non lasciarle, restituendo così loro tutta la vita che ci hanno sempre donato, divenendone custodi, così come loro lo sono ancora della nostra.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il sole dei vecchi” di Alda Merini: una poesia per la Festa dei nonni
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