Il torto. Diciassette gradini verso l’inferno
- Autore: Carlo Piano
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: E/O
- Anno di pubblicazione: 2023
Donato Bilancia è morto di Covid nel dicembre 2020, dopo avere rifiutato le cure. Scontava tredici ergastoli, per diciassette omicidi realizzati e due tentati, tra il 1997 e il 1998, in Liguria e in Piemonte. A colpi di pistola, ammazzava gli uomini per vendicare un torto presunto e le donne per dispetto, a caso, sui treni. Dopo la sua scomparsa, il giornalista genovese Carlo Piano, oggi non ancora sessantenne, ha voluto elaborare il ricordo di chi aveva incontrato da giovane cronista e mai dimenticato. Ha riaperto i faldoni della memoria e soprattutto quelli fisici degli archivi, per ricostruire la vita dell’assassino in un libro, Il torto. Diciassette gradini verso l’inferno, pubblicato in primavera per i tipi E/O (2023, collana Dal Mondo, 271 pagine).
È un romanzo, ma suggerisce di riprendere la vicenda di Bilancia, grazie al materiale su cui si è basato il lavoro di Carlo Piano: 90mila pagine di verbali, 65 grandi cartelle di documenti, 80 fascicoli d’intercettazioni telefoniche e gli atti di un processo fedelmente sintetizzato dall’autore, riportando in forma narrativa le dichiarazioni dell’imputato, dei testimoni, dei parenti e amici delle vittime, emerse dalle carte processuali e dalle indagini investigative e giudiziarie.
Chi è Donato Bilancia
Sotto tanti aspetti la vicenda è archeologia giudiziaria, in ragione del tempo trascorso, perché sparita dalla cronaca, cancellata dal clamore mediatico di altri casi popolari di nera. Eppure, venticinque anni fa, per sei mesi (l’arresto a Genova avvenne il 6 maggio 1998) Donato Bilancia è stato il serial killer a piede libero più pericoloso del XX secolo in Italia. Oggi, il nome non dice niente ai giovani e molto poco ai suoi contemporanei: evoca vaghi ricordi, sembra già sentito, ma non si riesce a collegarlo ad eventi precisi. È finito in un buco nero della memoria collettiva, scavalcato da delitti successivi verso i quali i talk show hanno polarizzato l’attenzione dell’opinione pubblica (Cogne, Avetrana, Garlasco, Erba, via della Pergola a Perugia), sostituito da altri imputati (Bossetti, Parolisi, i compagni di merende di Pietro Pacciani) e oscurato da misteri tuttora irrisolti (l’omicidio di Simonetta Cesaroni in via Poma, la sparizione di Manuela Orlandi e Mirella Gregori).
A farci caso, di tutti quelli citati si riesce a tirar fuori dalla memoria tanto o qualcosa, ma sempre ricordi sufficienti a riconoscere i casi indicati.
Per Bilancia è diverso e per fare chiarezza diremo ch’è nato a Potenza, nel 1951, trasferito con il padre dipendente Inam e la famiglia prima ad Asti, poi a Genova. Studi svogliati dalle medie, passione solo per il nuoto, tanti lavoretti, fedina penale sempre più sporca per furti, ma nessun omicidio fino ai quarantasei anni d’età. Poi, la pulsione dormiente si è attivata.
Per lo psicoterapeuta e scrittore Vittorino Andreoli, i delitti di Donato Bilancia sono il caso criminale più drammatico nell’Italia del Novecento. Diciassette in sei mesi, nove uomini, otto donne, vittime spesso incontrate casualmente, deboli i moventi degli omicidi e nemmeno ne ricavava “vantaggi secondari evidenti”. Sembrava che uccidesse per il gusto di uccidere.
Nel sito di Andreoli si legge di un attestato di stima ricevuto da Bilancia:
“Un giorno mi disse: ‘Ci sono due persone che godono della mia massima stima. La prima è chi mi ha insegnato a rubare, la seconda è lei”.
Si sono incontrati a lungo, quasi ogni giorno. Gli ha raccontato tutto. L’imputato di tanti delitti partecipava con passione e schiettezza all’indagine sulla sua personalità, anche affidandogli scritti sulla sua vita e sul suo modo di pensare, strumenti inconsueti in una valutazione psichiatrica. Pare che scrivesse bene, pur avendo solo la terza media, conseguita “per anzianità”, dopo diverse bocciature.
È stato pluricondannato perché considerato sano di mente e capace d’intendere e di volere, nell’atto di compiere gli omicidi.
Per Carlo Piano, tutta la vicenda di Bilancia parla di un soggetto incoerente e contraddittorio. Distingue la biografia in due periodi netti. Fino ai quarantasei anni, Walter, come si faceva chiamare, era stato un ladro gentiluomo. Non ricorreva alla violenza, si considerava l’Arsenio Lupin della Val Bisagno. Disinvolto nel guadagnare e rapido nello sperperare.
“Maniacale nel rimborsare il debito di gioco, per difendere la propria reputazione, ma capace di commettere azioni spietate. Galante con le donne, ma pronto un attimo dopo a denigrarle”.
Gli omicidi di Donato Bilancia
Di colpo Bilancia si è trasformato in uno degli assassini più efferati degli ultimi cento anni. Il peggio è derivato dalla convinzione d’essere stato vittima di un torto. Aveva già subito tante mortificazioni, sostiene Piano, però nella sua testa è scattato qualcosa che ha scatenato il peggio. Si manteneva giocando a carte e per primo uccise il tenutario della bisca dove pensava di essere stato truffato. Era il 14 ottobre 1997.
Il 24 eliminò il socio della bisca e la moglie. Tre giorni dopo, assassinò due coniugi titolari di un’oreficeria.
Il 13 novembre un cambiavalute, a Ventimiglia.
Il 25 gennaio 1998, un metronotte a Genova, per rancore verso le forze dell’ordine.
Il 9 marzo 1998, una prostituta albanese a Varazze.
Il 18 marzo, un’altra lucciola ucraina a Pietra Ligure.
Il 20 marzo, sempre un cambiavalute, di nuovo a Ventimiglia.
Il 24 marzo, a Novi Ligure, ferì e finì due metronotte che avevano ostacolato l’omicidio di una prostituta transessuale.
Il 29 marzo, a Cogoleto, una nigeriana.
Passò ai treni e il 12 aprile sparò a un’infermiera milanese.
Il 14 tornò a uccidere una prostituta, macedone.
Il 18 aprile riprese a colpire sul treno tra Genova e Ventimiglia, assassinando una babysitter e compiendo atti di autoerotismo sul cadavere.
Infine, il 20 aprile, in un’area di servizio nel comune di Arma di Taggia, l’ultimo delitto vide vittima un benzinaio.
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