Il tramonto di un sogno. La fine dell’ideologia giacobina in Canavese (1800-1802)
- Autore: Adriano Collini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
Il tramonto di un sogno. La fine dell’ideologia giacobina in Canavese (1800-1802) (Editrice Tipografia Baima & Ronchetti, 2017) segue il Il triennio giacobino in Canavese (1796-1799) (sempre Baima & Ronchetti, 2016) ed è la seconda parte dello studio sul periodo giacobino, in particolare nella provincia d’Ivrea, a cura di un insegnante eporediese in quiescenza, valido ricercatore di storia locale, Adriano Collini. In fase di progetto, aveva pensato a un testo unico, ma d’intesa con la casa editrice di Castellamonte e l’Associazione partner di storia e arte canavesana d’Ivrea, ha deciso di dividere l’opera in due volumi. Vista l’ampiezza del materiale raccolto, avrebbe assunto una dimensione incompatibile con la politica editoriale di questi tempi. Collini avverte che il volume si presenta come la continuazione del precedente e tuttavia può essere considerato anche un libro a sé stante.
Il triennio sotto esame è quello della “rivolta degli zoccoli”, una particolare insorgenza antifrancese di cui si sono perse le memoria storica e le tracce nel territorio. Mancano targhe, lapidi, monumenti che ricordino la sommossa di Ivrea del gennaio 1801, piazze o strade dedicate alle vittime, anche a uno solo dei caduti e fucilati.
Sorprende che la presa di distanza definitiva dei canavesi dai francesi e dai compaesani giacobini, sia pure ben dissimulata, si sia manifestata dopo la grande vittoria di Napoleone a Marengo, proprio in Piemonte. L’affermazione militare dal generale corso nell’Alessandrino indirizzò l’esito della seconda Campagna d’Italia a favore dell’Armata di riserva della Rivoluzione, uno dei principali successi del fortunato oltre che geniale Napoleone. Per quasi l’intera giornata, lo scontro aveva visto arretrare combattendo le truppe al suo comando, sorprese dall’offensiva delle colonne austriache di von Melàs verso la Fraschetta, nel territorio dell’attuale Spinetta Marengo.
Il campo di battaglia era in mano al generale transilvano, che aveva già inviato dispacci a Vienna comunicando la vittoria, quando il sopraggiungere intorno alle 17 dei reggimenti freschi del generale Desaix e della cavalleria di Kellermann scompaginò le formazioni nemiche, costringendole alla ritirata. Desaix morì, raggiunto da un colpo di moschetto al cuore e non poté condividere il trionfo del condottiero di Ajaccio.
Nel primo atto della Tosca di Puccini, i librettisti fanno celebrare un Te Deum di ringraziamento a Roma per la “vittoria” austriaca e la “sconfitta” di Napoleone, per poi celebrare la smentita nel secondo strepitoso atto, ambientato nello studio del barone Scarpia a Palazzo Farnese. “Eccellenza! quali nuove!...Un messaggio di sconfitta”. “Che sconfitta? Come? Dove?”. “A Marengo, Bonaparte è vincitor!”. “Melas?”. “No! Melas è in fuga!”. I librettisti Illica e Giacosa interpretano perfettamente lo scoraggiamento dei conservatori post Marengo, che Collini precisa in poche efficaci battute, nell’introduzione.
Sottolineando che la ricerca ha per obiettivo “comprendere cosa avvenne del movimento giacobino, dopo la battaglia e come reagirono i repubblicani canavesani alla pressione da diversi fronti”, fa presente che questa esigua minoranza della popolazione - comunque solida, economicamente e finanziariamente - si trovò stretta tra popolo, clero e nobili, tutti oppositori della Rivoluzione. Se il ceto popolare bolliva letteralmente, la Chiesa covava un radicale atteggiamento avverso, sebbene il vescovo si sforzasse di nascondere la delusione per la debacle austriaca e di ostentare una remissiva accettazione del vincitore. Quanto alla nobiltà piemontese, era nascostamente schierata dalla parte della reazione.
Di contorno, agivano emissari inglesi, interessati a intorbidire le acque intorno alla République e a creare problemi alle spalle delle armate francesi. A vantaggio del dissenso giocavano un ruolo pesante anche le improvvide pretese dei comandanti transalpini, impegnati in un progetto di normalizzazione del tutto soggettivo, in un territorio alleato trattato da occupato.
In questo contesto politicamente avverso al movimento giacobino, problemi su problemi si aggiungono a causa delle ricadute di diversi anni di carestia: aumento del costo dei beni di prima necessità, situazione finanziaria statale catastrofica, oltre alla costante esigenza di provvedere alla sussistenza delle truppe.
A tradire le aspettative dei giacobini e ridimensionare la loro passione politica intervenne la rivolta degli zoccoli, che non va derubricata come semplice tumulto per la fame o in difesa della religione e della tradizione. Ebbe un impatto anche il deterioramento dei rapporti tra gli amministratori piemontesi, nominalmente reggitori della cosa pubblica e gli ufficiali francesi, di fatto dittatori. Si arrivò ad autentici conflitti.
Sia pure dimenticata, la rivolta si accese nel gennaio 1801 e venne duramente repressa. Dalla primavera 1799, gli austro-russi avevano occupato il Piemonte per un anno, esercitando la stessa aggressività, ma senza subire nessuna rivolta.
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