Il vento sulla sabbia
- Autore: Fausta Cialente
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Nottetempo
- Anno di pubblicazione: 2023
Torna a soffiare l’hamsim, il vento caldo e sabbioso dell’Egitto che fa da sfondo ai romanzi levantini di Fausta Cialente. È la colonna sonora silenziosa di questo libro, Il vento sulla sabbia, pubblicato per la prima volta cinquant’anni fa, nel 1972, e ora riedito da nottetempo.
Il titolo originale proposto dall’autrice doveva essere Preludio e fuga e in effetti Cialente lo compone su più movimenti, come uno spartito musicale, accelerando volutamente sul finale che sembra anticipato da una lunga ouverture simile a un quartetto d’archi. La critica del tempo lo paragonò a un’aria di Mozart e lo definì “un libro musicale e tenero, inquietante come un giallo.”
La scrittrice stessa lo riteneva “Un’opera di gradevole lettura, ma minore rispetto alle altre.” Tra tutti i suoi libri Cialente era affezionata, in particolar modo, a Cortile a Cleopatra. Anche in queste pagine ritorna il Mediterraneo azzurro che sfuma nei colori porpora e arancione del cielo, un’aria orientale, rovente e vorticosa nella quale aleggia, sin dal principio, un presagio funesto.
La storia inizia quando la giovane Lisa, dopo la morte della vecchia zia Albina che era la sua tutrice, si trasferisce nella lussuosa casa dove il cugino Filippo vive con la moglie Malvina. La narrazione prende le mosse da un trauma – Lisa ha perduto l’intera famiglia, è rimasta sola al mondo – e con un trauma si conclude. La vicenda viene narrata quindi attraverso il suo sguardo, quello di una subalterna, che osserva tutte le dinamiche di quella società, ancora infarcita da un pesante lascito coloniale, dai margini - e non dall’interno.
Lisa non è una serva al pari di Ali e Abdu - alcuni dei personaggi più interessanti del romanzo, cui si invita l’ignaro lettore a prestare un’attenzione particolare - e la sua è tutto sommato una posizione privilegiata, non intaccata dall’ombra del pregiudizio e del razzismo che strisciano tra le righe con un effetto talvolta stridente. È proprio Lisa, che osserva le dinamiche sociali da una posizione di confine, a sottolineare la palese contraddizione: gli europei abitano la riva egiziana non come ospiti, ma come padroni, chiamando gli abitanti del luogo “indigeni” e trattandoli alla stregua di esseri inferiori.
Sono venuti qui come in una loro terra promessa, ci si arricchiscono spudoratamente, ma nessuno pensa di liberare questa povera gente dall’ignoranza, dalla miseria o dalle malattie.
Sull’esotico paesaggio levantino troneggia la villa del Sans Souci, abitata da Frida, Lottie e Stefan Gunter, che è spettrale e misteriosa come un antico maniero gotico. Impossibile non avvertire l’influenza narrativa di Jane Eyre di Charlotte Brontë (soprattutto nel personaggio di Lisa che dice fieramente al ricco Amadeus “Io sono una vostra eguale”) e delle atmosfere cariche di suspense della Rebecca di Daphne du Maurier.
L’ingresso di Lisa al Sans Souci viene introdotto dal commento sprezzante del giovane Ali, in arabo: Halli balack, “è gente cattiva”, avverte il servetto indicando col dito la dependance di Lottie prima di allontanarsi correndo, quasi fuggisse da una maledizione. Queste parole esotiche e pregnanti, Halli balack, andrebbero rilette con una nuova e lucida coscienza una volta scoperto il finale della storia.
Ma la chiave di lettura più interessante de Il vento sulla sabbia è quella politica. Il presagio più concreto che aleggia su quella piccola, ipocrita, comunità intellettuale europea trapiantata in terra egiziana è la Seconda guerra mondiale ormai alle porte. La parola “nazismo” compare sempre più spesso nei discorsi, anche nelle conversazioni mondane, spesso accoppiata oscuramente con “fascismo”. Sotto la superficie effimera di una vita dominata dai ricevimenti, dalle serate musicali e dai lauti banchetti imbanditi con bicchieri di cristallo si agita la minaccia di Hitler che fa capolino in un discorso cruciale tra Lisa e la pittrice Lottie – senza dubbio una delle pagine meglio riuscite del libro.
Cialente compie un audace cambio di prospettiva mostrandoci il punto di vista inedito di una donna tedesca dell’epoca affascinata dal carisma del Führer, da lei descritto come un novello messia “quell’uomo che portava un messaggio al popolo tedesco”.
La conclusione della conversazione ha un tono profetico, che richiama da vicino Le tre ghinee di Virginia Woolf:
Mentre andavo verso il muro di cinta pensavo che sarebbe stato meglio non averla fatta, quella visita, non avevo imparato niente che non sapessi. Su questo pensiero dovetti retrocedere subito. Mi sbagliavo, invece: le parole di Lottie sulla sorte della Germania erano nuove, inattese anzi, e mi sembravano adesso altrettanto pericolose di quel fuoco sotto la cenere.
Quel fuoco non sopito rimanda al grande incendio che chiude repentinamente il romanzo; ma sembra anche farsi metafora di qualcos’altro. Ciò che Fausta Cialente descrive con una lingua musicale, intessuta di nostalgia, è un mondo ormai scomparso e l’autrice pare caricare la narrazione di simboli che ne lasciano presagire la fine ormai imminente. Il nome della villa, teatro delle vicende narrate, è non a caso Sans Souci: letteralmente in italiano “spensierato”, “senza preoccupazioni”. Sarà proprio quell’edificio a essere avvolto dal fumo e lambito dalle fiamme nel gran finale che la critica definì troppo romanzesco e denigrò a un “gran falò”. In quel terribile rogo immaginato da Cialente dobbiamo invece vedere la metafora della fine di un’epoca, la nuvola nera che incombe sull’Europa, lo stesso fosco presagio preannunciato da Virginia Woolf “e il mio libro sarà forse come una farfalla sopra un falò consumato in meno di un secondo”. La differenza è che Fausta Cialente era convinta, smentendo la cupa profezia di Woolf, che l’arte fosse destinata a durare:
Le cose, i sentimenti della vita passano, signora, e non lasciano traccia, vengono sepolti con noi. Ma l’arte rimane.
Il discorso sull’arte è l’altro fondamentale sottotesto che si intreccia alla narrazione de Il vento sulla sabbia. La maggior parte dei personaggi nutre ambizioni artistiche: pensiamo ai ritratti di Lottie, ai gigli bianchi dipinti da Frida, al costante duello musicale tra Stefan e Filippo, ambedue compositori. Pare che per creare il personaggio di Filippo la scrittrice si fosse ispirata a suo marito, Enrico Terni, la cui vera professione era agente di banca, ma amava definirsi “un compositore” e attribuiva grande valore alla propria musica, nonostante a conti fatti non gli permettesse di guadagnare il pane. Gli artisti, nei romanzi di Cialente, sono quasi sempre frustrati nelle loro aspirazioni; ma non demordono.
Una delle più solenni dichiarazioni d’amore per l’arte viene messa in bocca proprio a Filippo:
Invece l’importante è di non stancarsi e non rinunciare…Lavorare con la persuasione che quel che si fa è l’ultima cosa che si produce, in modo da metterci tutta la devozione, tutta l’energia possibile.
L’arte, la costante ricerca di un altrove sognato, vagheggiato, si riflette nella formazione cosmopolita dei personaggi che popolano il libro: sono tutti “spatriati”, o meglio “sradicati”, senza radici; è lo stesso Amadeus a definirsi “uno sradicato, non un orientale né un occidentale” richiamando una frase pronunciata dall’antifascista Enzo in Un inverno freddissimo. Sradicata, “spatriata” era anche la stessa Fausta Cialente che non si definiva una scrittrice italiana (“Quanto di italiano c’è in me?” si chiedeva angosciosamente durante un’intervista, Ndr) e condusse per tutta la vita un’esistenza nomade, sempre in viaggio, senza requie: quando fu pubblicato Il vento sulla sabbia da Mondadori nel 1972, lei si trovava in Inghilterra, a Pangbourne, e gestì le bozze del libro per corrispondenza inviando delle note e margine alla casa editrice.
L’hamsim, il vento infuocato e sabbioso del deserto, soffiava anche nel suo cuore invitandola a un perenne andare, a una costante ricerca di altrove. Lasciava dietro di sé delle impronte sulla sabbia: erano la sua scrittura che rivelava un mondo disgregato, mostrando “le inevitabili deturpazioni fatte dal tempo e da quello che ironicamente dovrei chiamare progresso”; ma il vento quelle impronte di piedi nudi sulla sabbia non le avrebbe cancellate. Le parole di Fausta Cialente, a distanza di cinquant’anni, ancora tornano a narrare uno scenario inquieto, per certi versi spaventosamente simile al presente, in cui i rapporti umani sono fragili e ambigui, minati dallo spettro costante dell’incomprensione e del tradimento.
Il vento sulla sabbia
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il vento sulla sabbia
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