Il viaggio dell’elefante
- Autore: José Saramago
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2015
“Il viaggio dell’elefante” di José Saramago è un breve romanzo che racconta il lungo e difficoltoso tragitto dal Portogallo all’Austria, percorso dall’elefante Salomone. L’animale è stato infatti dato in dono dal re Joao del Portogallo e da sua moglie all’arciduca e all’arciduchessa d’Austria. Deve compiere il viaggio accompagnato da una carovana di militari, con dei bovari e servitori che si occupano dei buoi addetti a trainare il carro del suo foraggio, e trasportandosi sulla nuca il suo personale guardiano indiano; da un certo punto in poi, al viaggio si aggiungono in una lussuosa carrozza gli stessi destinatari del dono.
La trama de “Il viaggio dell’elefante” si snoda sostanzialmente tutta intorno a questo viaggio e i pratica non è costituita da altro. Tuttavia si tratta di una narrazione assai ricca di contenuti, di immagini, di emozioni e di trovate stilistiche. L’autore infatti si pone fin dall’inizio come un io narrante lateralmente presente nella storia, una sorta di occhio che veglia sulla vicenda e che la racconta e la commenta via via che essa si svolge. Per far questo però usa una tecnica più che abile di mero resoconto delle idee spontanee che gli si affacciano alla mente e mette, come intermezzo tra un fatto accaduto e l’altro, ogni riflessione personale che gli affiori. Spariscono dunque dalle pagine tutti gli accorgimenti che separano le sequenze: niente capoversi, niente discorsi diretti segnalati da punteggiatura, nessun espediente di passaggio da una fase all’altra della narrazione. È un filo di parole e frasi che segue lo scorrere del pensiero.
Ne viene che l’elefante Salomone non è più il protagonista, ma funge solo da telecamera sull’umanità vivente nell’epoca e nel luogo della storia e anche sull’umanità in generale.
“Dell’elefante non ci azzarderemo a parlare, perché, come abbiamo già detto prima, non sappiamo che cosa pensi”
dice José Saramago.
Salomone non pensa, semplicemente vive la sua condizione di elefante sfruttato per i comodi delle persone che ne rivendicano l’appartenenza. Vive adattandosi alla realtà in cui sembra essere il solo a essere calato; tutti gli altri personaggi infatti vivono la realtà che vogliono vedere intorno a lui e costruire su di lui, ma che esiste solo nelle interpretazioni distorte della loro testa. Dove Salomone passa dunque, punta un occhio di bue sul genere di persona e di società che incontra: ora sull’autoritarismo delle gerarchie militari, ora sulle superstizioni del popolo, sull’ipocrisia del clero, sull’ottusa presunzione della nobiltà. E José Saramago, nel mentre che racconta tutto questo, commenta con proverbi, filosofie e aneddoti significativi pescati da ogni epoca e cultura, in modo da far capire, col suo linguaggio ricco di sfumature e virtuosismi linguistici di ogni tipo, che è tutta l’umanità a vivere solo nei suoi più o meno folli pensieri, senza troppo ancorarsi alla realtà. Né più né meno come il suo stesso romanzo vive senza difficoltà soltanto di un filo di pensieri che scorrono e tergiversano ovunque.
Il solo personaggio che pulsa un po’ di più di vita propria è Subhro, il cornac che si occupa dell’elefante. Egli è uomo semplice e per questo più ancorato coi piedi in terra, malgrado passi la maggior parte del suo tempo lontano dal suolo, a cavalcioni dell’animale. Grazie a lui “Il viaggio dell’elefante” si tinge di delicate emozioni e di umanità ed è proprio la sua figura che completa e rende viva la costruzione geniale di questo originale romanzo. Ed è sempre grazie a lui che alla fine della lettura si prova un senso di amarezza e di rimpianto.
Il viaggio dell'elefante
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