Imperium. L’erede di Roma
- Autore: Barbara Frale
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2024
Barbara Frale trascura gli amati templari, spoglia i personaggi dei panni a lei congeniali del Medioevo e li riveste con le tuniche e i pepli della Roma imperiale, per quanto alcuni, perfino alcune, debbano esporre nelle arene gli arti scoperti, unti di oli e resine profumate, parzialmente protetti da gambali, gomitiere e spallacci di metallo. Sono anche gladiatori, infatti - compresa una gladiatrice, Achillia - le figure di risalto del romanzo più recente, Imperium. L’erede di Roma, ambientato nel I secolo dopo Cristo, novità questa estate (luglio 2024, 282 pagine) nella collana Nuova Narrativa della romana Newton Compton, che ospita sempre i suoi bestseller, come sarà questo, piuttosto sensuale vedremo.
Viterbese (1970), tra i principali esperti in Italia di storia templare e gli studiosi più accreditati di sindonologia, è autrice molto attiva, laureata in conservazione dei beni culturali, specializzata in paleografia e archivistica, dottore di ricerca in storia della società europea, occupata dal 2001 nell’Archivio segreto vaticano. Da storica del Medioevo (oggetto della tesi, che ha meritato la pubblicazione), ha curato la consulenza storica per la serie RAI sulla famiglia fiorentina dei Medici, cui ha dedicato una saga narrativa. In un’altra, si è spostata a Parigi, Notre-Dame.
Stavolta la narrazione ci porta nel 70 Anno Domini. Il grande impero di Roma è nelle mani di un solo Cesare, il generale Vespasiano, che ha prevalso sui contendenti Otone e Vitellio nell’anno sciagurato dei tre imperatori, dopo l’assassinio di Nerone. Pur non avendo una goccia di sangue imperiale, il grande condottiero, issato sugli scudi dai legionari, siede forte ma fragile sul trono, come un elegante calice di vetro. “Duro, ma non tanto da reggere agli scossoni”, che possono arrivare da tante parti, per le trame di patrizi e senatori o eventi infausti nelle province lontane. Per questo, Vespasiano non fa che raccomandare cautela nei continui messaggi al figlio, che lo ha sostituito al comando delle quattro legioni in Galilea, terra di tumulti, instabile come il mare.
Capace militarmente e mai avventato nonostante il temperamento risoluto, Tito condivide la preoccupazione paterna; non vuole in alcun modo tendere una corda già tesa, per non esporre i suoi 20 mila uomini scelti a una morsa tra i fanatici zeloti e le tribù israelite. I ribelli sono asserragliati nel tempio di Gerusalemme e una mossa romana azzardata potrebbe spingere altri ebrei o anche popolazioni non ebraiche ad accorrere in soccorso degli insorti.
L’ebraismo è molto radicato in quella terra e a Roma vivono 60 mila giudei, sebbene per i romani religio equivalga a superstitio (come scriveva nel secolo precedente il poeta Lucrezio). Sono impegnati a mantenere dovunque la Pax Deorum, il patto tra gli uomini e i numi sul quale si regge la forza di Roma, che non offende gli dei stranieri ma li accoglie e li onora.
Il suo segretario e interprete israelita gli dà ancora una volta ragione. “Scaltro come una volpe, cauto come un serpente”, Giuseppe Flavio cita spesso i profeti del suo popolo. A volte è capace di profetizzare, ha preannunciato contro ogni logica a Vespasiano che sarebbe diventato imperatore quand’era solo un generale come altri, impantanato nella Giudea in rivolta. A profezia avverata, Tito ha chiesto al padre di liberare il giudeo chiaroveggente e Yosef ben Matityahu ha preso il nome della famiglia imperiale. Scriverà, in greco, le vicende dei Flavii e delle guerre giudaiche.
Ecco delinearsi il quadro storico da una parte e tre protagonisti dall’altra: l’imperatore, il figlio, l’annalista ebreo Giuseppe.
Arriva sùbito una scossa. Un presagio scuote il già impensierito generale Tito. Qualcuno lancia contro di lui un piccolo oggetto che rimbalza innocuo a terra, dopo avere urtato la corazza: è uno strano manufatto lucido. Lo raccoglie, lo guarda, poi lo scaglia via, un gesto per niente aderente al suo carattere calmo e riflessivo. Sembra inorridito da quella placca di conchiglia bianca, piatta e larga quanto una noce. Una delle facce mostra strani segni incisi; potrebbe trattarsi di una defixio, una maledizione contro la quale non c’è speranza.
Pax religiosa a parte, Tito ha un piano per imporre agli ebrei anche la pace politica. Mette a conoscenza il suo vice Tiberio Alessandro del progetto di sposare Berenice, nipote di Erode il Grande, una trentenne affascinante quanto chiacchierata, moglie separata del re di Cilicia e oggetto di tante voci che la vogliono passare disinvolta da un letto all’altro, dedita perfino a rapporti incestuosi col fratello Erode Agrippa.
Apprendiamo, a mo’ di curiosità storica, di un’antica usanza a Roma, risalente ai sette re: il libripens. L’uomo che voleva prendere moglie ricorreva alla pesatura in pubblico: la ragazza richiesta veniva messa sulla bilancia del foro boario, il mercato del bestiame, e se il pretendente pagava in pezzi di argento e di rame il peso della giovane poteva portarla a casa come moglie, senza assolvere altre formalità. Una versione del rito della mancipatio, eseguito alla presenza di testimoni davanti al funzionario incaricato della pesatura pubblica.
Vedremo anche l’ancella Zenobia eseguire la sensuale danza dei sette veli (da far cadere uno dopo l’altro come petali davanti all’omaggiato, che potrà godere poi del “dono offerto”), in un romanzo di Barbara Frale che si veste di erotismo e mantiene in quota il genere femminile come coprotagonista.
Nove anni dopo, nel 79, anche Vespasiano vuole realizzare un progetto: investire Tito dell’eredità ufficiale al trono imperiale e unirlo in nozze con la figlia di un influente patrizio, in occasione dei giochi interminabili che inaugureranno il Colosseo, lo splendido nuovo circo edificato a Roma per ospitare i ludi, gladiatori e non solo. Ma Berenice, la prima moglie, non ci sta...
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