In the Moon
- Autore: H.G. Wells
- Genere: Fantascienza
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2019
Che emozione rileggere dei primi uomini sulla Luna, anticipati dalla fantascienza settant’anni prima della discesa di Neil Armstrong e Buzz Aldrin nel Mare della Tranquillità. Appassionante, sempre coinvolgente il romanticismo proto spaziale di uno dei fondatori della science fiction, l’inglese Herbert George Wells, autore all’inizio del 1900 di un romanzo, “In the Moon”, che l’Editoriale Jouvence di Sesto San Giovanni ha voluto riproporre nei primi del 2019 (256 pagine, 16 euro).
Era da adolescente che non gustavo un capolavoro della fantascienza classica qual è questo racconto del viaggio dei primi cosmonauti (che ovviamente non sanno di esserlo). Sono due cittadini britannici del 1899, curiosamente del tutto privi di scafandro, a mettere piede sul satellite, che trovano popolatissimo.
Confesso che alla prima lettura del romanzo, tanti anni fa, trovai del tutto estranee rispetto all’esperienza spaziale dei protagonisti le considerazioni di natura socio-politica che caratterizzano non solo questa, ma un po’ tutte le opere dello scrittore originario del Kent (1866-1946). Preso dai contenuti narrativi più strettamente avventurosi, non ero attratto dal messaggio lanciato da H.G. Wells ai suoi contemporanei, attraverso la descrizione della brillante e razionale organizzazione della società selenita, priva di affanni individuali, di qualsiasi forma stress, di rapporti di forza proprietà-lavoro-produzione e soprattutto risparmiata dalle guerre.
Non avevo nemmeno colto l’analogia, proprio sotto l’aspetto della critica sociale, con i viaggi che un altro scrittore britannico, Jonathan Swift, aveva fatto compiere quasi due secoli prima a Lemuel Gulliver in una serie di mondi alternativi, abitati rispettivamente da esseri minuscoli e bellicosi, da giganti di 22 metri, da uomini che invecchiano e non muoiono e da cavalli intelligenti e parlanti. Mi era anche sfuggita la citazione, in un dialogo nella prima parte di questo romanzo, di un altro padre della fantascienza del XIX secolo, il francese Jules Verne e del suo “Dalla Terra alla Luna”.
Quei lunauti sono spinti da un mega cannone in un proiettile-navicella, quelli di Wells viaggiano invece in una sfera coperta all’esterno di cavorite, sostanza immaginaria che annulla l’attrazione gravitazionale ed è quindi in grado di imprimere una spinta inesauribile fino a una grande massa celeste. Prende il nome dal dottor Cavor, uno scienziato con tutti i crismi dello scienziato (competenza, genialità ma anche confusione, disordine, bizzarrie), che si spinge sulla Luna in compagnia di un compagno di viaggio volontario, mr. Bedford, un giovane apprendista drammaturgo in crisi d’ispirazione, che preferisce l’esplorazione alle pene della scrittura.
Viaggiando nello spazio, impattano in un cratere, lamentano qualche ammaccatura e scoprono che di notte sulla luna fa freddissimo, tanto da uccidere inesorabilmente i vegetali, che di giorno sotto l’azione di un sole caldissimo e abbagliante vivono un ciclo vitale completo, rigoglioso, ma quanto mai effimero, visto che col buio sono inesorabilmente condannati a morire. Questo vuol dire che con la luce c’è un’atmosfera respirabile.
Altra forma di vita, di genere animale, sono i vitelli lunari, enormi, smisurati, flaccidi, docili e si direbbe controllati dai Seleniti, il primo dei quali vedono muoversi a balzelloni. Indossa una maschera, perché abituato all’aria del sottosuolo, più fresca e respirabile. È lì che riparano i due terrestri e scoprono che si sviluppa un pianeta sotterraneo: città, acqua, macchinari, sotto il controllo della popolazione lunare. Sono esseri senzienti, somigliano a insetti gelatinosi, sembrano uno diverso dall’altro. Gli umani sono fatti prigionieri, ma i seleniti non conoscono la violenza e riescono in qualche modo a comunicare.
È Bedford a rompere l’idillio della nascita di un’amicizia, ispirata dalla reciproca curiosità. Per un grosso equivoco, ha una brusca reazione e causa la morte di alcuni abitanti. Il giovane riesce a fuggire, riattiva la sfera a cavorite e torna sulla Terra. Il dottore non ce la fa a seguirlo.
Dai messaggi di Cavor che giungono sul nostro pianeta, intercettati da un apparecchio che funziona sul principio di Tesla, si apprendono particolari dell’organizzazione sociale lunare, efficace e del tutto differente dalla nostra. Ognuno ha il suo compito preciso e senza concorrenza, in un meccanismo collettivo perfetto. Fin dalla nascita, i seleniti vengono portati a sviluppare solo l’organo che consentirà loro di svolgere il ruolo sociale utile alla comunità che gli viene originariamente assegnato. Non condividono, fa notare Wells, la sorte dei ragazzi della Terra, che vengono fatti crescere liberi per poi essere irreggimentati appena adulti e spinti gli uni contro gli altri. Ad esempio, seleniti che hanno sviluppato un cervello enorme immagazzinano dati nella loro memoria, al servizio di tutti (Wells ha “inventato” gli hard disk dei computer).
Altro aspetto su cui insiste, oltre all’ammirazione per la società “socialista” selenita, è l’assenza di conflitti, che contrasta con la storia dell’umanità. Gli studiosi lunari la apprendono con attenzione da Cavor ed è per il timore che uomini tanto pronti alla guerra vogliano conquistare la Luna, che le trasmissioni dell’apparecchio elettromagnetico dello scienziato s’interrompono.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: In the Moon
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