In una città atta agli eroi e ai suicidi. Trieste e il "caso Svevo"
- Autore: Giampiero Mughini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2011
I libri di Giampiero Mughini sono fonti di conoscenza e di note da catalogare nei propri archivi di lettura. La magia delle storie che narra, degli scrittori scelti a ragion veduta, della potenza delle parole pensate e studiate lo rendono uno studioso ed un intellettuale, sebbene irrequieto e critico, poliedrico e pieno di fascino. Un amante del design che colleziona opere d’arte, ma soprattutto un amante dei libri, un autentico bibliofilo, meglio un bibliofolle. È stata la sua passione nell’amare i libri e nel ricercarli a fargli decidere all’istante di scrivere questo libro: aveva tra le mani la desiderata copia di "Senilità" con le correzioni di inchiostro nero, cancellature, punti esclamativi a matita scritte di pugno dallo scrittore triestino. E lettere, prime edizioni, note di critica letteraria, copie rare dei suoi tanti amati scrittori, presi in prestito dalla sua personale e immensa biblioteca.
Nell’avviarmi a scrivere un libro il cui spettro di vendite possibili oscillava da un minimo di dieci a un massimo di venti copie, eccome se mi sembrava un’occasione propizia per cacciarmi nei guai, e se uno che scrive non si caccia nei guai che razza di scrittore è ?
Un libro ("In una città atta agli eroi e ai suicidi. Trieste e il “caso Svevo”") la cui dedica è rivolta ai figli di Trieste, una città ricca nell’Italia di fine Ottocento e primo Novecento: eroi, poeti, pittori, scrittori. Una città, scriveva il giovane Montale amico carissimo dell’anziano Svevo, che poteva reggere il confronto con la Praga di Kafka e la Dublino di Joyce. Il caso Svevo ha inizio con l’incidente d’auto in un pomeriggio del settembre del 1928 con a bordo lo scrittore sessantenne, la moglie Livia e il loro nipotino Paolo, mentre tornavano da Treviso in direzione di Trieste. Il giorno dopo a seguito dei postumi dell’incidente Svevo morirà, ad un anno di distanza dall’uscita di "Senilità", salutato questa volta come un capolavoro che cancellerà l’amarezza dell’insuccesso della prima pubblicazione di oltre trent’anni prima. Il presagio che la vita potesse durare un niente era un pensiero costante, familiare per Svevo. Il suo nome era Ettore Schmitz e solo dopo la sua morte negli anni che seguirono, nel 1931, la moglie e la figlia poterono chiamarsi Svevo come era stato desiderato e voluto dallo scrittore. Italo perché si sentiva italiano in una città ancora sotto il dominio dell’Impero austro-ungarico e Svevo in nome di Goethe, Schopenhauer e della cultura di lingua tedesca che lo aveva formato. Schmitz era un borghese del suo tempo, con baffi folti e spioventi e con la sua immancabile e insostituibile sigaretta tra le dita. Di giorno faceva l’impiegato e la notte scriveva, con il sogno di diventare scrittore. Dovrà attendere circa quarant’anni per vedere realizzare il suo sogno, con "Senilità".
È il libro che fa da capostipite del romanzo del romanzo italiano moderno. Il libro che crea il Novecento e le sue latitudini morali e sentimentali, che ne racconta i suoi non eroi e le loro angosce ancor prima che il gran secolo fosse cominciato.
Svevo e gli altri in una città atta agli eroi e ai suicidi, crogiuolo delle lingue tedesco, inglese, francese; dannata da un’inquietudine interiore, con il suo nucleo di intellettuali ebrei e non solo; avamposto della modernità. La Trieste di Svevo, Saba, Silvio Benco, Bobi Bazlen, Fabio Cusin, Scipio Slataper e Renzo Rosso il più grande scrittore triestino del secondo dopoguerra con tanto di Svevo nei suoi globuli rossi. Una città d’avanguardia amata da Joyce che a Pola insegnava inglese parlando il triestino e un ottimo italiano. Una lingua studiata perché la considerava nobile e che gli aveva permesso di leggere Dante e Giordano Bruno. Joyce, come è noto, sarà legato da una profonda ammirazione e affetto allo scrittore triestino. Destini che si intrecciano narrando storie del Novecento, pagine dallo stile pieno di suggestioni e quasi referenziale nei confronti di eroici uomini le cui anime non si danno pace e pare, scrive l’autore, sentire tuttora il loro frusciare per le strade e i vicoli della città.
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