Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete
- Autore: Byung-Chul Han
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2023
Viviamo in un mondo digitale, e di certo questa non è una sorpresa; la vera domanda è quanto siamo davvero liberi in questa digitalizzazione? Quanto siamo consapevoli della direzione che abbiamo intrapreso con tanta facilità in questi anni?
A rispondere è il filosofo sudcoreano Byung-chul Han nel suo saggio Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete (Einaudi, 2023, traduzione di Federica Buongiorno).
Si tratta di un saggio breve, conciso e disilluso. Han non indora la pillola, anzi elenca tutta una serie di elementi che la nostra era ha deciso di non considerare troppo. Sono 88 pagine che risucchiano l’attenzione e pongono quesiti interessanti e profondi che non si può evitare di considerare. Han propone la propria visione sulle tematiche lasciando aperto il dialogo, ogni lettore può confrontarsi liberamente con sé stesso. Inoltre l’autore informa senza annoiare o lasciare elementi solo accennati.
Al principio il filosofo si pone una domanda precisa: “Il mondo di oggi e quello distopico di Orwell e Huxley?”
Nel suo breve saggio Han si mette in relazione con altri scrittori precedenti, come Orwell ed Huxley, ma le loro posizioni spesso collidono. Se Orwell teorizzava una società perennemente controllata dal Grande Fratello in cui si realizzava una visibilità permanente, all’interno della società dell’informazione di cui parla Byung-chul Han invece vi è un’apertura della reti, le quali in ogni caso, generando un numero sempre maggiori di dati al fine di consentire il dialogo, trasformano la comunicazioni in sorveglianza.
La seconda domanda che il saggio pone è: “Viviamo davvero in una gabbia?”
Con l’incremento dell’utilizzo dei social media ci si è avvicinati sempre di più al bisogno di ricevere fama e attenzioni, si vuole essere sotto i riflettori, conosciuti. La brama di visibilità porta, anche se in modalità e quantità differenti da persona a persona, ad adoperarsi affinché la si riceva, senza che sia imposta - differenza sostanziale per esempio con quanto immaginato da George Orwell.
Prigione digitale è trasparente
La brama di essere costantemente in relazione con gli altri ha portato alla costruzione di luoghi di lavoro o di svago che siano completamente inseriti nell’ambiente circostante e non solo ma anche "aperti". Un esempio calzante in merito è l’Apple Store di New York, costruito interamente in vetro, che consente una continua comunicazione tra coloro che sostano o passeggiano nelle immediate vicinanze e chi invece si trova all’interno del negozio.
Eppure non è sempre stato così, alla Mecca vi è la Ka’ba - un’antica costruzione preislamica dedicata al culto - che come caratteristica principale ha quella di essere un cubo impenetrabile, dettaglio che mantiene alto un certo fascino e l’aura di mistero.
Il filosofo quindi si pone la questione: “Social media e influencer sono diventati un nuovo credo?”
I social media somigliano a una chiesa: il like è il loro amen. Lo sharing è la comunione. Il consumo è la salvezza
Così Han descrive l’attaccamento ai social media della nostra società: condividiamo tutto o quasi sul network, dalle informazioni sulla vita privata, ai viaggi, senza pensare che ogni piccolo like, commento, post lascia una scia.
Il like è una traccia che serve per mostrare informazioni e contenuti simili a quelli che ci piacciono. Tuttavia le informazioni che ci vengono proposte possono rientrare nel campo delle dark ads, ovvero contenuti creati su misura dell’utente al quale vengono proposte notizie e contenuti non necessariamente veritieri.
Invisibili alla sfera pubblica, i social network possono facilmente "avvelenare" i discorsi, i dialoghi e le discussioni facendo prevalere questa o quell’altra fazione. Ben più noti sono i social bot, ovvero programmi automatici che simulano il comportamento umano nei social network, ma il loro intervento nuovamente riesce a far prevalere questa o quest’altra posizione.
Nel mondo dell’infocrazia le immagini diventano un’arma, ci spiega Byung-chul Han.
Nell’infocrazia il discorso viene meno poiché sono le immagini ad attirare più attenzione in quanto non necessitano di mostrare la verità e non implicano l’utilizzo di parole che costruiscano un discorso serio e coerente.
Costruire un discorso vincente implica empatia, praticare l’ascolto e trovare fatti a suffragio della propria tesi, ma nell’infocrazia, nel mondo della rete, la necessità è semplicemente “avere ragione”. Han descrive descrive lo smartphone come il nuovo “medium di sottomissione”: è un parlamento mobile sempre presente che soddisfa la necessità moderna di avere un’opinione su ogni cosa e soprattutto di vedere tale opinione eletta come vincitrice, come migliore.
Siamo davvero consapevoli di quanto stiamo affidando alla rete?
Mentre pensiamo di essere liberi oggi siamo intrappolati in una caverna digitale
Così accade che ci siamo abituati a vedere la rete, i social, la possibilità di svelare misteri e conoscere ogni singolo evento come un vantaggio, un modo per non dover fare i conti né con il tempo né con l’abilità nel formulare discorsi tipica e necessaria in una democrazia. Siamo davvero sicuri di aver compreso a cosa stiamo andando incontro nell’affidarci così tanto a un mondo fittizio e aproblematico?
Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete
Amazon.it: 11,87 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete
Lascia il tuo commento