Innaffiate i gerani
- Autore: Henry Lawson
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Elliot
“Innaffiate i gerani” è un racconto lungo, oppure un romanzo breve, dipende dai punti di vista, di colui che è considerato lo scrittore australiano di finzione più noto del periodo coloniale. Henry Lawson, nato nel 1867 e morto nel 1922, deve la sua popolarità a racconti in cui ha saputo descrivere la dura vita che si conduce nell’entroterra australiano, il cosiddetto “bush”, ovvero quell’insieme sconfinato e selvaggio di praterie e boscaglie, dove uomini e donne emigrarono nella seconda metà dell’Ottocento in cerca di fortuna. Quel particolare tipo di solitudine che schiaccia questa minoranza d’abitanti, in particolare le donne che hanno dovuto abbandonare gli agi della civiltà moderna per seguire i loro uomini. Laddove la vita sociale si svolgeva nelle città, soltanto una piccola minoranza ha accettato la sfida del bush ed ha deciso di vivere in completo isolamento.
Si tratta di un libro maneggevole, quasi tascabile, di appena 63 pagine che nel 2014 la casa editrice Elliot ha pubblicato nella collana Lampi.
Lawson descrive gente che vive di stenti, e nonostante questo riesce a mantenere viva la propria dignità. Chi si trasferisce nel bush condanna se stesso ad un’esistenza primitiva, dove il rimpianto per la vita precedente è sempre pronto ad affiorare. Eppure, vi è la convinzione condivisa, da parte di questa esigua popolazione che finisce sempre col “fare gruppo”, di poter costruire qualcosa di diverso.
Mentre gli uomini affogano i loro dispiaceri nell’alcol, le donne, abituate a star sole per la maggior parte dell’anno, affrontano la quotidianità con fierezza d’animo.
L’io narrante della storia è Joe Wilson, trasferitosi da poco in quella sterminata prateria con la giovane moglie Mary. Nonostante lo sconforto iniziale, i Wilson decidono di rimanere e di crearsi un’esistenza che li renda più possibile “umani”. La vera figura eroica del romanzo è però la signora Spicer, vicina di casa dei Wilson, che presto fa amicizia con Mary. Forse bisbetica e anche un po’ pazza, la signora Spicer, madre di un nugolo incalcolabile di figli e grande lavoratrice, cerca di conservare, come chiunque sia costretto a vivere in quel paesaggio alienante, un filo ostinato di femminilità.
Ricordarsi di innaffiare i gerani, che in quel clima “disumano” crescono a stento, diventa per lei il simbolo della resistenza, del rifiuto ad arrendersi, il segnale che il bush non le ha fatto assumere una personalità maschile, per il solo fatto di vivere in solitudine e nella povertà più assoluta, bensì l’ha semplicemente “confusa”.
La forza annichilente del bush è la vera protagonista del racconto. La narrazione è pervasa dalla costante paura di diventare pazzi, generata da una situazione ambientale giudicata “pericolosa”. L’uomo ha un bisogno disperato di riconoscersi nell’umanità e teme di perderne i connotati nei labirinti dell’alienazione e della stanchezza fisica.
Il messaggio trascende i limiti geografici per assumere una portata universale: il lettore non può non riconoscere nel personaggio i suoi stessi dubbi provati in qualche situazione di solitudine, in qualunque parte del mondo.
Un personaggio splendido, quello della signora Spicer, che rimane impresso nella memoria. Questa donna fiera e poverissima, ospitale e generosa, pur nel suo non avere nulla. Commoventi le bugie che si inventa, al fine di restituire a se stessa un’immagine dignitosa. Non importa se non possiede tazzine per servire il tè oppure tovaglie ricamate, la sua ricchezza è d’altro tipo. Uno spessore che viene da un animo indomito che, grazie ai suoi gerani, mai si arrende.
Innaffiate i gerani
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