È in libreria un thriller originale e particolare Rose di Capodanno (Vallecchi Firenze, 2022 pp. 312, euro 18,00) di Caterina Falconi, che indaga e pone l’accento sui mali contemporanei, come l’abuso narcisistico, in una società disturbata e un po’ ossessiva come la nostra.
Siamo alla vigilia di Capodanno, all’interno di una palestra di fisioterapia di un istituto di riabilitazione di una cittadina abruzzese, un’operatrice sanitaria viene assassinata in circostanze scabrose durante un incontro sessuale clandestino sul posto di lavoro. Viene incaricata delle indagini l’ispettore capo Vera Ferri, e non sarà un compito facile.
“Probabilmente era sulla scena di un omicidio e doveva chiamare i soccorsi”.
Caterina Falconi, laureata in Filosofia, ha pubblicato Sulla breccia (Fernandel, 2009) e Sotto falsa identità (Galaad Edizioni, 2014).
Ha scritto, con Simone Gambacorta, Una questione di malafede. Scambio a due voci sulla scrittura creativa (Duende, 201 O), e con Francesca Bonafini, Non avremmo mai dovuto. Le frasi che gli uomini sposati dicono alle amanti (Ad est dell’equatore, 2015). Ha pubblicato racconti in varie antologie, riviste e in ebook.
Ha collaborato alla stesura delle sceneggiature del cartone animato Carotina Super Bip, della Lisciani Group. Sempre per la Lisciani Libri, è autrice di svariati testi: E invece sì. 55 storie di coraggio, di idee, di passione (2018) con Gianluca Morozzi; Narciso (Collana I Miti raccontati ai bambini (2019); Shoefiti (Collana Black List 2019), Iliade (Collana I Poemi 2019). Collabora alla Rusconi Libri con romanzi per ragazzi e riduzioni di classici. Ha curato l’antologia La vita invisibile (Avagliano, 2021) ed è autrice di Dammi da bere (Mimep docete, 2021), Dimmelo adesso (Vallecchi 2021).
Ha debuttato nel noir, La volta di troppo (Clown Bianco, nella selezione del premio GialloLuna NeroNotte).
- Per la stesura della trama ha preso spunto da un fatto di cronaca?
Non ho preso spunto da delitti realmente accaduti. A dirla tutta, non so da dove arrivino gli spunti delle mie storie. Probabilmente da un serbatoio immaginifico, ma non dalla cronaca. La cronaca, la contemporaneità crude mi spaventano. Ho bisogno di frapporre il filtro dell’invenzione, per comprenderle. Credo che una delle funzioni della letteratura sia proprio quella di narrare il reale per renderlo più sopportabile.
- Cos’è l’abuso narcisistico?
È una forma di violenza, spesso psicologica e talvolta anche fisica, messa in atto dai portatori di disturbi di personalità del cluster B, tra cui sono annoverati i narcisisti patologici, ma anche gli istrionici, i sociopatici, gli psicopatici… Oggi si parla tanto, troppo e spesso a proposito di narcisismo. Ed è un segnale che viviamo in tempi di reificazione dell’altro, di insonorizzazione dei sentimenti, di intercambiabilità degli affetti. L’abuso narcisistico, a mio avviso, non è solo una modalità di matrice psicopatologia, ma il paradigma del male e di molti crimini. “Rose di Capodanno” non ha preso spunto da un fatto di cronaca, anche se io seguo con attenzione la cronaca nera, il cosiddetto true crime. Ed è studiando i delitti contro la persona che mi sono accorta che rispondono tutti allo stesso copione. Concupiscenza dell’altro, possessività, manipolazione relazionale, umiliazione, reificazione, sfruttamento, menzogna e infine abbandono. Ma se la vittima si sottrae prima che sia arrivato il tempo dello scarto, o se si frappone tra il carnefice e i suoi bersagli, immediatamente viene identificata come nemica e spesso tolta di mezzo in modo efferato.
- Cosa succede alla vittima di un narcisista?
La vittima di un narcisista si sgretola. Viene prosciugata di vitalità, autostima, forza e ottimismo. Il suo mondo si ribalta inesorabilmente a causa della manipolazione. Smarrisce se stessa. Spesso è indotta a compiere atti che stridono con la sua etica e i suoi principi, per il puro e perverso divertimento del plagiario. Infine, quando è scarica e prostrata, viene ripudiata con pretesti improbabili volti ad addossarle la responsabilità della fine della relazione. A quel punto, abbandonata a se stessa, tra le proprie macerie, la vittima sviluppa un disturbo da stress post traumatico, è a rischio suicidario, e spesso incompresa e rivittimizzata da un contesto che la addita come corresponsabile della propria sciagura. Per fortuna le vittime sono quasi sempre persone empatiche, ricche di anima, e l’anima si rigenera.
- Desidera descrivere la personalità dell’Ispettore capo Vera Ferri?
Vera Ferri è una poliziotta per caso. E il caso è un antico abuso che la ragazza ha subito ai tempi dell’università, mentre studiava per la sua prima laurea in Filosofia. La sua decisione di entrare in Polizia scaturisce dal desiderio di vendetta contro gli abusanti. Mentre scrivevo il romanzo, mi interrogavo sulla liceità della vendetta, contemplata in molte culture, soprattutto del passato, come una sorta di istituzione giuridica. Lavorando al personaggio di Vera, mi sono chiesta anche quante poliziotte o agenti delle Forze dell’Ordine si siano arruolate con la speranza di dar la caccia ai mostri della loro infanzia violata. Fisicamente, la Ferri è una trentenne molto bella. Assomiglia a Sylvia Plath. Mentre la PM assomiglia ad Anne Sexton. Il mio è stato un omaggio a queste due grandi figure del mondo poetico. In particolare alla Sexton, donna di incommensurabili bellezza e glamour.
- Di fronte alla vecchia scuola trasformata in istituto di riabilitazione, luogo dove è avvenuto il delitto, vi è una serra monumentale adattata a convento in cui risiedono quattro consacrate appartenenti all’ordine delle Suore Gertrudine. Ce ne vuole parlare?
L’istituto di riabilitazione e la serra monumentale sorgono in una frazione di Teramo di nome Centogatti, che non esiste nella realtà. La scena del crimine e la serra monumentale sono dei non luoghi, intrisi di fantastico, di cui ancora non ho chiara la simbologia sottesa. Le Suore Gertrudine, ordine religioso di fantasia, hanno scelto di sostare ai confini del Sacro. Sono accampate tra il tempo e l’eternità. La sospensione è la cifra dell’istituto e della casa madre, che oltretutto è una serra monumentale dalle suggestive pareti di cristallo blu. Un relatore, nel corso di una presentazione in anteprima del romanzo, ha acutamente sottolineato che nella serra sono protetti i fiori, così come sono dei fiori, le rose nella fattispecie, a dare il titolo alla storia.
- Cosa la affascina di un romanzo giallo classico o di un thriller e quali sono i Suoi autori preferiti?
Del crime mi affascina il nucleo tematico: l’indagine sul male. Il tentativo di individuarne la matrice e le evoluzioni, e di descriverne la deflagrazione. È interessante anche la personalità degli inquirenti, tratteggiata dai diversi scrittori in modo vario e difforme. Come a dire che il male segue uno schema, se vogliamo anche banale, mentre il bene, imperfetto, si attaglia alla personalità di chi lo rappresenta e agisce. Quanto agli autori, ne amo diversi. Andrea Vitali, immenso scrittore italiano non solo di gialli. Ovviamente Simenon, speleologo della perversione.
Carlo Lucarelli, cantore dell’efferatezza. La Vargas e la Redondo, per le atmosfere oniriche ed esoteriche di cui soffondono le loro opere. Piera Carlomagno, per la maestria nell’uso della lingua e nell’impianto narrativo, per la cultura che trapela dalle sue pagine e il taglio letterario delle stesse. Patrick McGrath, per lo sguardo psicoanalitico sulle vicende. Alessandro Defilippi per il mistero che trafila dalla sua prosa sofisticata. Mariano Sabatini per lo stile lussureggiante. Divier Nelli, per l’asciutta perfezione della lingua e l’impeccabile messa a fuoco sulla malvagità.
E poi tanti altri noiristi e thrilleristi, non necessariamente famosi.
Rose di Capodanno
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Caterina Falconi in libreria con “Rose di Capodanno”
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