Silvia Colombini è nata a Milano nel 1963, ma da tempo risiede a Bologna.
Pubblicitaria, ha iniziato a scrivere con Hotel Paura, edito per la casa editrice Vallecchi, che è poi diventato un film con Sergio Castellitto.
Ha poi scritto Il mago TV e Lelioswing per Giunti Editori e Kinki. Una notte lunga 40 anni per Damiani editore. È poi uscito, per Robin edizioni, Marcantonio detto Toni, scritto a quattro mani con l’amico scrittore Mauro Biagini.
Ma il suo libro più bello è in libreria da poco: Miss Miami (Tripla E edizioni).
Miss Miami (L'amore ai tempi del web Vol. 19)
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- Grazie per disponibilità. Lei ha scritto un libro deliziosamente camp, che però ha anche spunti sul carattere degli uomini e delle donne. Come è nato?
Più che come, dove: a Los Angeles, città che vende sogni e storie a ogni angolo. Un paio di anni fa accompagnavo il mio fidanzato che si trovava in California per lavoro e ho visto su Sunset Boulevard un vecchio pulmino rosa shocking. Sulle fiancate, stampate in maniera grossolana, le foto di bellissime ragazze “totally nude”. Fuori, a fumare, un cow boy con la faccia di Bukowski. Una scena degna del miglior Tarantino. La luce, le palme, il pulmino con il suo carico di miraggi e malinconia. Quell’immagine mi ha fatto venire in mente un personaggio come Zac Panzetta, che porta in viaggio verso il concorso le sue ragazze, e con lui la storia di Miss Miami.
- Avendo letto anche Marcantonio detto Toni. Nei suoi libri c’è sempre un gay bellissimo e giovanissimo. Salvatore è così bello che sembra una donna a tutti gli effetti. Non le viene di raccontare di gay di mezza età mai?
Credo che l’adolescenza sia il periodo più folle dell’esistenza. Un momento dove ogni esperienza è intensa, perturbante. Una discesa libera fatta di innocenza e depravazione. E i ragazzi leggono poco, purtroppo. Per questo spero che si possano interessare alle mie storie e mi piacerebbe tantissimo che si potessero riconoscere o sentire rappresentati. Inoltre, io sono proprio di mezza età. Mi interessa di più esplorare un tempo che, anche se lontano dal mio, è ancora lì nel mio cuore. Il mondo gay è un serbatoio di emozioni e poi mi piace l’idea che i miei libri siano romanzi di formazione alla rovescia, dove crescere e scoprire se stessi spesso diventa un modo per ribellarsi ai condizionamenti familiari per esprimere desideri e sessualità in maniera libera.
- Annagiulia è snob, Salvatore è gay. I suoi personaggi sono eccessivi e moderni. È una scelta di stile?
Non credo, rappresentano il mondo che mi circonda. Gli amici delle mie figlie sono così. Poi, certo, tendo a essere un po’ estrema forse, ma osservo molto le persone e, giovani o vecchi, siamo tutti un po’ eccessivi.
- La sessualità, ma lei lo dice scherzando, è molto fluida. Anche uno scagnozzo di Vincenzo uomo d’onore e ladro si lascia irretire da una serata trans. La paura gli viene subito e fa un gesto che non diremo per chiudere quel capitolo. Allora lei crede alla sessualità fluida o è soprattutto un gioco delle parti?
Io credo nel mistero del sesso, che è una delle cose migliori che possiamo fare per essere felici. Al di là delle parole e delle mode, anche usando altri termini, il concetto di fluidità è quanto di più vero ci sia per rappresentare una parte della natura umana che, come l’acqua, resta un elemento profondo, misterioso e indispensabile. Per più di metà siamo fatti di acqua. Quindi questo elemento scorre nel nostro corpo e fa scivolare anche i nostri orientamenti sessuali, che lo si voglia ammettere o meno.
- La madre di Salvatore, spenta e spaventata dal marito, diventa per amore del figlio, proprio come il suo nome, Regina. L’amante di Vincenzo addirittura si mette con una donna. A lei il patriarcato non sembra una cosa seria, difficile da superare?
Purtroppo i condizionamenti dei padri ci sono ancora. Io ho cercato di renderli ridicoli perché ridere è l’unico modo che conosco per sfuggire alla prevaricazione e alle prepotenze. Non sono una sociologa, una studiosa, ma non sopporto le ingiustizie. Mi piace, come tutti, sentirmi libera e una maniera per superare certe stupide convinzioni è raccontarle in modo, spero, leggero e divertente.
- Il machismo, gli uomini di onore, i puttanieri a lei fanno molto schifo. E lo capiamo. L’uomo che sembra convincerla è quello che organizza Miss Miami, Zac, fragile ma forte quando è necessario.
Io amo gli uomini, ma detesto i prepotenti, quelli che si fanno grandi delle debolezze altrui, chi non ha mai un dubbio. Mi interessa di più la debolezza, l’insicurezza, la fragilità. Zac ne ha passate tante, qualcuno lo definirebbe un perdente, ma è ancora capace di inseguire i suoi sogni, è pieno di passione e non ha paura di niente, è un puro. Persone così esistono, per fortuna, e hanno più sfumature e cose da dire degli altri che tanto li disprezzano.
- Perché Isotta e Annagiulia pensano che un concorso di bellezza serva? Lo fanno per soldi?
Alle due ragazze protagoniste del libro, come a tanti giovani, i soldi servono. Non hanno problemi ideologici, non si sentono sminuite nell’esporre i loro corpi. Il concorso è un modo come un altro per guadagnare, per aiutare la famiglia in un caso e per affrancarsi da essa nell’altro. Hanno un atteggiamento di sano e laico utilitarismo. E poi, chi non salirebbe a bordo del pulmino di Zac Panzetta?
- Le donne parlano molto tra loro, in questo libro, ma la perfidia tra concorrenti non c’è, c’è molta solidarietà.
Sono tutte giovanissime e il fatto di trovarsi insieme in quell’avventura crea una complicità che non lascia spazio alla competizione. Certo, nella realtà forse non sempre è così, ma mi piaceva raccontare più l’aspetto giocoso del concorso. Non ho molta esperienza di amicizie femminili, sono una solitaria, ma da quello che si dice i legami tra donne possono essere molto forti.
- Lei scrive in modo ironico, ma ogni tanto diventa sentimentale quando incastra le coppie tra loro. Le piace fare la Jane Austen?
Sono una piagnona romantica, mescolare sentimenti e leggerezza è più facile nella scrittura che nella vita, dove le cose seguono direzioni sconosciute che, a volte, provocano pesantezza e dolore. Giocare alla Jane Austen è un modo per esorcizzare le mille paure e sistemare, almeno nelle pagine, il casino che ci gira intorno.
- Quali sono i libri che l’hanno formata? Chiaramente saranno tanti, ma quali sono quelli di cui non può fare a meno?
Io leggo di tutto, e in una lista un po’ scombinata ci sono Proust, Fitzgerald, Capote, Roth; Lansdale; Tolstoj e Dostoevskij; Flannery O’Connor; Pippi Calzelunghe; Don Winslow; Stephen King, Eggers, James Frey. Il buio oltre la siepe e Il cardellino e Il respiro del mondo. Steinbeck, McCarthy e Faulkner. Michael Collins, Chandler. E tanti tanti altri.
- Viviamo un momento difficilissimo a causa della pandemia. Lei ha delle abitudini che non ha perso? Riesce a leggere? A fare una vita normale come prima?
Io sto con il mio amore, lavoro, porto a spasso il nostro cane. Bevo, fumo, faccio ginnastica come sempre. Non ho una vita sociale, l’unica cosa che mi manca è andare al cinema, a ballare e a Los Angeles, che è l’unico posto lontano che ho visitato e che mi piacerebbe rivedere. A dire il vero stare chiusa in casa mi piace. Sono affranta perché probabilmente non vedrò mai più la mia mamma che è molto vecchia e sono molto preoccupata per chi ha perso i suoi cari o ha sofferto. Sono irritata per la stupidità, per gli atteggiamenti superficiali, dai ricchi che si lamentano pensando solo al proprio denaro. È un momento difficile e lo sarà ancora, temo, per molto. Ci vorrebbero amore, generosità e sensibilità, oltre a un’organizzazione migliore, per venirne fuori bene. Io cerco di essere ottimista, sto attenta, sono prudente, seguo le precauzioni e spero. Spero sempre.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Silvia Colombini, in libreria con Miss Miami
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