Durante un incontro virtuale organizzato dalla casa editrice Rizzoli in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, Gli eletti, è stato possibile dialogare con il noto autore americano Jeffery Deaver, grazie al prezioso supporto di Sebastiano Pezzani, interprete e traduttore.
- Ci troviamo in un momento storico particolare per quanto riguarda atteggiamenti generalizzati di odio e di razzismo: questo ha influenzato la scelta delle tematiche affrontate nel suo romanzo?
Ho scritto questo romanzo prima dell’episodio a tutti noto che ha visto coinvolto George Floyd, e quindi non sono presenti riferimenti diretti. Tuttavia, fin dall’inizio è stata mia intenzione affrontare, attraverso questa storia, un problema molto sentito negli USA, ovvero la contrapposizione netta fra posizioni diverse: fra i bianchi e le persone di colore, fra la destra e la sinistra, fra i Repubblicani e i Democratici... Gli estremismi sono una tematica presente e molto sentita da parte mia, perché pericolosa: a differenza dell’Europa o, per lo meno, dell’Italia, negli Stati Uniti ci si può aspettare che ogni cittadino disponga di un’arma – i militanti di destra hanno partecipato alle manifestazioni armati fino ai denti –, e questo è un problema molto serio.
- Che ruolo ha, in tutto questo, la religione?
Sono un osservatore del mondo e della società; naturalmente conosco meglio quella americana, che dal punto di vista della religione è molto polarizzata. Negli ultimi tempi sono piuttosto scoraggiato dalla diffusione di messaggi estremi, in cui i valori che tutti riconoscono come positivi, come il rispetto, l’amore, la pace, passano in secondo piano, mentre altri fattori emergono con maggior prepotenza, anche grazie alla stampa. Tematiche come il diritto delle donne all’aborto e al controllo del proprio corpo, che fino a poco tempo fa davamo per scontate, in realtà non lo sono più: farsi semplicemente portavoce di questi diritti può risultare pericoloso, anche fisicamente. Basti dire che l’attuale inquilino della Casa Bianca – che non è mai stato una persona religiosa –, ora, visto che torna “comodo” dichiararsi tale, lo è diventato.
- Al di là del giudizio negativo che emerge nel romanzo riguardo le sette, qual è il suo atteggiamento verso l’approccio all’esistenza e alle sue problematiche, caratteristico delle discipline orientali?
Per scrivere questo libro ho dovuto documentarmi molto, come faccio sempre. Chi avrà la pazienza di leggere la bibliografia alla fine del romanzo troverà una trentina di libri da cui ho attinto. Qualcuno, durante questa fase del processo di scrittura del libro, ha cercato persino di reclutarmi in una setta. Ovviamente non ci sarei mai entrato, ma è stato comunque interessante. Hai ragione quando dici che ci sono religioni, se non sette, orientali, che si fondano su valori importanti. Nel caso della fondazione Osiride, si tratta semplicemente del tentativo da parte del fondatore, Maestro Eli, di fare i propri interessi.
Non tanto tempo fa ho letto un libro, Zen e l’arte del tiro con l’arco, che in realtà è il tentativo di spiegare come trovare i valori positivi della filosofia orientale anche nella vita quotidiana. Per quanto io non sia una persona religiosa o, comunque molto spirituale, penso che siano utili, l’importante è che non travalichino mai questo limite e non sconfinino mai nella demagogia.
- Nel precedente romanzo, Il gioco del mai, c’era la ricerca di una vita “parallela” nei videogiochi, in questo, c’è la ricerca di una “nuova” vita in una comunità...
In effetti, negli Stati Uniti, oggi assistiamo a una forte mancanza della famiglia. I bambini sono abbandonati a se stessi e, quindi, agli strumenti tecnologici che hanno in mano, come i cellulari o i computer, e questo li rende persone vulnerabili. Quando un personaggio come Maestro Eli, che nel mio romanzo è il capo di una setta, accosta qualcuno e gli dice che si occuperà di lui, che sarà il suo nuovo “genitore”, facilmente quel soggetto fragile cadrà nelle sue mani. La stessa cosa succede in una certa misura con i videogiochi, che sono un mondo a parte. Ovviamente non voglio generalizzare: non voglio dire che negli Stati Uniti siano tutti così o che non ci siano famiglie che continuano a coltivare i valori tradizionali. La pandemia, però, non ha fatto che peggiorare le cose, costringendo tutti a vivere in casa, a frequentare soprattutto i social media, impedendo ai bambini e ai ragazzi di stare con i loro amici.
- La fondazione Osiride promette la felicità che in molti stiamo cercando?
Nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America dal Regno Unito c’è una frase particolare: la ragione primaria per cui gli abitanti delle colonie si dichiarano indipendenti dalla madre patria è perché sono convinti che ci siano dei diritti inalienabili; tra questi diritti ci sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità. Trovo questa cosa molto positiva: felicità significa gioia di vivere, la possibilità di apprezzare la vita appieno. Il fatto che Maestro Eli ricerchi la propria felicità non è un fatto negativo di per sé, purché alla base ci siano valori positivi. Per assurdo, se pensiamo a un serial killer, possiamo immaginare che la sua felicità consista nell’uccidere le persone...
Nei miei libri cerco di incastonare le storie all’interno di questioni più ampie, così che il lettore apprezzi maggiormente quello che sta leggendo perché percepisce che l’autore inserisce qualcosa che va al di là della semplice narrazione.
- Com’è arrivato, dopo un personaggio molto “mentale”, come Lincoln Rhyme, il noto criminologo tetraplegico, a Colter Shaw che, invece, è molto “fisico”?
Colter Shaw è un personaggio inquieto, non ha problemi a muoversi nelle pieghe della legge, a piegarla alle sue necessità, ma è un eroe tutto d’un pezzo, coraggioso, generoso: non ci sono dubbi su dove sta il bene e dove sta il male. Mi piace paragonarlo ai protagonisti dei film di Sergio Leone interpretati da Clint Eastwood. Ho creato un personaggio che mi piacesse particolarmente e che mi stesse a cuore: pare che molti altri miei lettori lo apprezzino. È possibile che ci sia un pubblico leggermente diverso da quello abituato a leggere le indagini forensi di Lincoln Rhyme e che si accosti più volentieri alle storie di Colter Shaw. Ho scoperto che piace soprattutto alle donne, alcune delle quali mi hanno chiesto non solo se ho tratto ispirazione da una persona reale, ma anche se posso fornire loro il suo numero di telefono!
Ho sentito dire in radio, qualche anno fa, che la stessa parte del cervello che mette in connessione emotiva i nostri familiari, i nostri amici, persino i nostri nemici, è la stessa che fa sì che noi proviamo empatia per i personaggi delle storie inventate, che leggiamo o che seguiamo sullo schermo, appassionandoci. Le mie storie hanno un ritmo molto veloce, incalzante, con colpi di scena – amo paragonarle a un’esperienza sulle montagne russe o sulle macchine veloci come la Ferrari in pista. Però, anche una trama come questa ha bisogno di protagonisti, credibili, forti: con Colter Shaw, penso – e spero – di aver creato un personaggio in cui, in qualche modo, ogni persona possa identificarsi. È un po’ l’uomo comune, anche se con caratteristiche fisiche superiori alla media, ma è pur sempre una persona che si trova di fronte a problematiche che noi stessi dobbiamo affrontare nella nostra vita.
- Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Ho appena finito di scrivere l’ultimo capitolo della trilogia, che spiegherà molti dei misteri irrisolti intorno alla famiglia di Colter a Echo Ridge. Si apre esattamente otto ore dopo Gli eletti, perciò chi leggerà il libro, sa già dove è diretto Shaw e perché.
E ho finito di scrivere anche un altro libro con protagonista Lincoln Rhyme.
Gli eletti
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Jeffery Deaver, in libreria con "Gli eletti"
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