Geografia di un dolore perfetto (Garzanti, 2023) è l’ultimo potente romanzo di Enrico Galiano. Un romanzo autentico e toccante che scandaglia le profondità di un dolore che non si vorrebbe mai vivere, una sofferenza che come veleno si insinua nelle pieghe dell’animo, creando una frattura insidiosa e lacerante fra padre e figlio.
Pagine che hanno un sapore tutto loro, indimenticabile e unico, nella materia trattata così come nello stile, costantemente permeate da un’estrema sincerità, da una profonda sensibilità e da un tatto particolare nel maneggiare con cura e rispetto tematiche delicate, a tratti pennellate da punte di lirismo e di ironia.
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Come se fosse chino su una grande e particolareggiata mappa geografica, Galiano vi punta una lente di ingrandimento per osservare da vicino e (ri)scoprire oceani, laghi, fiumi, montagne, colline, pianure, terre e isole, elementi paesaggistici che non sono altro che suggestive metafore di ciò che siamo noi essere umani, colti nella nostra autenticità e unicità, nei nostri infiniti colori e chiaroscuri.
Le dinamiche complesse che scaturiscono all’interno di un rapporto padre-figlio apparentemente insanabile - dal sapore autobiografico - vengono spogliate di ogni filtro, prese alla radice e analizzate lungo la loro evoluzione, e con pura onestà di intenti Galiano riesce a offrire al lettore le emozioni più vere e profonde, senza cadere mai nel banale e nello scontato.
Attraverso questa intervista all’autore, ripercorriamo con lui le emozionanti pagine di una storia commovente che sa porre quesiti universali riuscendo a fornire interessanti chiavi di lettura e risposte stimolanti, a volte inedite, senza scivolare mai nell’ottica subdola di giudizi e preconcetti.
Quale dolore si prova quando si parla del proprio dolore e non di quello “immaginario” legato a un personaggio fittizio? È un dolore più acuto e “invasivo”?
Sì, ma anche no. Scrivere del proprio dolore è un modo di parlare coi propri mostri nascosti sotto il letto. E all’inizio mordono, eccome, però piano piano poi riesci quasi a farteli amici. Credo davvero che scrivere resti il modo migliore per elaborare certe ferite, farle cicatrizzare in tatuaggi e, quindi, a volte anche in bellezza.
Dolore vs amore: ho come l’impressione che il dolore, la sofferenza, fisicamente ed emotivamente, vincano sempre sull’amore, sul bene. Voglio dire, non credi anche tu che nella vita si faccia più esperienza del dolore rispetto all’amore? Un dolore prima o poi, e magari anche più volte, puoi viverlo sulla propria pelle, mentre l’amore forse non è necessariamente “scontato”, ovvio. È così anche per te?
Se dobbiamo parlare a livello di quantità forse hai ragione tu... però quando incontri l’amore, per quanto poi possa essere un’esperienza più rara, la sua forza è in grado di cambiare tutto, di restarti dentro come una specie di nuovo settaggio mentale e sentimentale. Ti trasforma in una persona nuova, e più vicina a quella che sei davvero.
Ѐ questo che ti ricorda il dolore, è il posto dove vieni a riscoprirti vivo, dove ti ricordi che anche tu, come tutti, non hai tutto il tempo del mondo. Ed è giusto farlo, prima o poi, bisogna perdersi perché, come mi ha detto una volta una persona: come fai a trovarti se non ti sei mai davvero perso?
Felicità come “ferita”, come affermi tu nel libro. A prima vista, sembra un paradosso, una legge innaturale, che va contro natura. Il ricordo della felicità vissuta, i ricordi legati ad essa, possono incidere la nostra pelle, i nostri sensi, la nostra anima quando è tanto tempo che non la vivi, la felicità. Ammetto che è uno dei passaggi narrativi che più mi ha colpito ed emozionato. Quanto bisogna sopravvivere rispetto al vivere? Chi vince la partita?
Non è una partita, ma un viaggio in cui non sai nemmeno dove arriverai. Almeno: per me. Certo è che gli occhi abituati al buio soffrono se esposti alla troppa luce, un po’ come gli schiavi di Platone uscendo dalla caverna. E decidere di tornare al buio è una scelta a volte illogica e folle, però perfettamente umana.
Più passa il tempo, più mi accorgo che non buttiamo via proprio niente, mai. I ricordi vanno a nascondersi in certi cassetti dell’anima e poi, in un giorno a caso, in un’ora a caso, apri il cassetto sbagliato ed eccoli lì. Sfogli le fotografie con la bocca mezzo aperta e ti chiedi com’è possibile che dentro di te ci possa stare così tanta vita, come fai a contenere tutti quegli istanti…
“Succede”: una parola che la dice lunga, un verbo che racchiude tutto un mondo. Forse, il vero senso della vita è racchiuso in questa parola? Più che un significato di rassegnazione, alberga in questo verbo una ferma presa di coscienza legata all’atto del perdono. Quindi, vita uguale a “saper perdonare e voler perdonarsi”?
Quanto è facile giudicare gli altri, specie se questi altri sono i nostri genitori. Sono gli imputati perfetti di processi che imbastiamo tutti i giorni - soprattutto da adolescenti - quando abbiamo bisogno di qualcuno da odiare per definire noi stessi. Ma metto fra gli insegnamenti più importanti che ho ricevuto da ragazzo proprio quel saper dire "Succede", saper riconoscere che sbagliamo tutti, sbagliamo un sacco, e forse è proprio in questi errori che diciamo più chi siamo.
Nella tua storia citi:
«Quando studi i paesaggi studi anche le persone, perché le persone sono paesaggi.»
Se ti osservi allo specchio, quale paesaggio vedi nell’Enrico adulto? E in quello bambino?
L’Enrico adulto è forse un paesaggio di montagna e solitudine, di fresco e silenzio; l’Enrico bambino era molto più mare e inquietudine, caldo e botte di sole in testa!
Scrittura come “terapia d’urto” per (ri)scoprire se stessi e gli altri? Per acquisire nuove consapevolezze e visioni della vita? Inoltre, scrittura uguale a:
[…] fare fotografie a qualcuno che non c’è.
Per cui, le parole racchiudono, come fossero “cornici”, fotogrammi, istantanee di una vita lontana o immaginaria, che si vorrebbe (ri)vivere, e possono annullare le distanze?
Che dire: sì! Hai già detto tutto tu :)
Parliamo di musica, che ha un ruolo chiave all’interno del tuo romanzo, fa da costante e suggestivo sottofondo. La colonna sonora della tua vita rappresentata da quale brano, canzone?
Be’, alcune di quelle citate nel libro sono state effettivamente la colonna sonora della mia vita, soprattutto il primo Grignani e il Vasco degli anni ’80 e ’90. Ma scegliere un pezzo unico è sempre impresa difficilissima, non trovi? Io non so mai rispondere quando mi fanno domande come questa!
Se dovessi descrivere questa storia così intima e delicata attraverso la pittura, quale tela o quadro la esplicita al meglio?
La riproduzione vietata di Renée Magritte. Esprime proprio l’impossibilità di guardarsi allo specchio, la difficoltà di entrare davvero in intimità con sé stessi.
Un insegnamento di vita che l’Enrico bambino darebbe ora all’Enrico adulto?
Resta quello che a dieci anni sceglieva di uscire a giocare prima di fare i compiti, e non dopo. Perché certe incombenze si possono recuperare, ma certi istanti no.
La spezzanza esiste ed è quando ti senti spezzato, sempre. Anche quando sorridi, anche quando sei felice; sai che sei rotto in qualche punto. La spezzanza esiste ed è non sapere bene dove, ma avvertire da qualche parte un punto spezzato, in te, un punto che non c’è niente da fare, non lo si riesce a riparare.
Recensione del libro
Geografia di un dolore perfetto
di Enrico Galiano
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Enrico Galiano, in libreria con “Geografia di un dolore perfetto”
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