"Quando scrivo cerco di descrivere non solo la luce, ma anche l’invisibile": è con queste parole che si rivela nella sua essenza più profonda Fabrizio Caramagna, autore che ha scelto di affidare tutto il suo mondo interiore nelle benevoli mani e nel potere magnetico delle parole, racchiudendolo in pagine di vita toccanti, pregne di emozioni e riflessioni.
Tempo fa ho avuto il piacere di intervistare Fabrizio Caramagna, aforista e scrittore in grado con i suoi pensieri e le sue parole di dare forma e voce a ogni singolo riflesso dell’animo umano.
Una "penna" mai scontata o superficiale, che riesce sempre, con estrema semplicità e profondità al contempo, a scandagliare e a sviscerare ogni aspetto della vita, palesandolo attraverso un punto di vista diverso, un’ottica sempre inedita e originale.
Si è raccontato per noi in questa piacevole intervista, le cui risposte sono infinite porte aperte su tutto ciò che (ancora) possiamo — assieme a lui — scoprire e ritrovare.
- Torino: possiamo rintracciare degli influssi, delle atmosfere della tua città nelle tue opere?
Torino è il luogo da cui tento ogni volta di evadere. Quando descrivo il mare, sto descrivendo in primis la mia fuga da questa città. Torino è la città più grigia del mondo. Il colore di cui sono fatti i miei aforismi è una forma di reazione a questo grigiore.
- Ti definisci un “ricercatore di meraviglie”: dove credi risieda il vero riflesso, il concetto reale di una “meraviglia”? E come ti poni per cercarlo? Alla fine, lo trovi sempre e comunque?
Noi adulti abbiamo perso lo sguardo dei bambini, i più grandi ricercatori di meraviglie. La meraviglia è la capacità di sorprendersi, di cogliere un riflesso di luce in ogni cosa. I bambini sono dei maestri in questo.
Io cerco la meraviglia nelle frasi. Siamo circondati da milioni di parole inutili, vuote, piatte, banali, ma ogni tanto appare la parola che si illumina e apre un mondo. Emily Dickinson scriveva: "Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere". Ecco, trovare la parola, la frase giusta. Per me questa è la meraviglia. Il mio sito Aforisticamente è un grande collettore di "frasi giuste" e "meravigliose".
- Aforismi: un “mondo” a sé, piccole “perle” racchiuse in conchiglie... Quando e come hai sentito il bisogno di raccoglierle, di esprimerti attraverso loro?
Al liceo scrivevo temi di due paginette (nonostante l’insegnante mi dicesse sempre "allunga, allunga..."), mentre a casa mi dilettavo a scrivere racconti brevi di due, tre pagine. Più scrivevo e più accorciavo e tagliavo. Ogni volta diventavo sempre più breve, al punto da arrivare a scrivere solo micro-racconti di poche righe. Fu così che cominciai a interrogarmi sulla brevità e scoprii il vasto mondo degli aforismi: Canetti, Cioran, La Rochefoucauld, Kraus. Era come se avessi visto per la prima volta il mare: avevo trovato la perla che cercavo.
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- Linee di seta (LietoColle, 2012): credi anche tu che senza poesia la vita perderebbe di essenza, di valore, di profonde emozioni? Pensi che bisogna “allenare” gli occhi, il nostro sguardo, oltre alla mente e al cuore, per poter scorgerla attorno a noi?
Non si può vivere senza poesia, ma se mi chiedi che cosa sia la poesia non ti so rispondere. Forse la poesia è un saper guardare con occhi nuovi, ascoltare con orecchie nuove, toccare con mani nuove. Forse la poesia è scoprire che esiste l’anima e dialogare con essa. Forse la poesia è nello sguardo di un figlio appena nato o nel rosso di un tramonto. Ma sono tutte definizioni limitate. La poesia nasce nelle parole, ma poi è sempre oltre le nostre parole.
- Il numero più grande è due (Mondadori, 2019): raccontaci brevemente di questo libro. Inoltre, al fiore che contraddistingue la copertina è legato un senso, un significato particolare o personale per te o per la storia narrata?
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Il numero più grande è due è una storia d’amore. Le storie d’amore esistono dai tempi di Adamo ed Eva. L’uomo scrive e scriverà sempre storie d’amore. Quante parole sprechiamo per descrivere un amore. Non c’è nessuna altra idea per cui sprechiamo così tante parole. Eppure ogni volta ci piace parlarne, ci piace scriverne. Usiamo milioni di parole per parlare d’amore e ancora non siamo riusciti a capire l’amore.
Perché il papavero in copertina? Il papavero è simbolo di libertà e anticonformismo, cresce dove vuole lui e non dove gli dicono di crescere. Il papavero non ama le serre e i giardini, non ama le frasi fatte e il pensiero confezionato. Non è passivo e obbediente. Come scrivo nel libro:
“Lei è gentile, attenta, distratta, spensierata, stanca, leggera, adorabile, disordinata, ridente, ma soprattutto ama vivere ai margini.
Come le note nei libri, i papaveri solitari, i sentieri abbandonati, gli introversi, i diversi, i perduti.”
- Se mi guardi esisto (Mondadori, 2020): un titolo suggestivo e una copertina altrettanto evocativa per il tuo ultimo libro uscito per Mondadori. Si esiste, a volte, perché si viene guardati? È questo che accade nella vita e realtà di tutti i giorni? Oppure, vuoi comunicare qualcos’altro a noi lettori? E perché rappresentare una giovane donna distesa all’interno di un nido? Infine, quanta valenza assume per te la parola “empatia”?
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Questo titolo assume diverse valenze. Partiamo dai bambini. Il bambino esiste se viene guardato dai genitori. Ecco perché, quando gioca, dice sempre "guardami, guardami". Nel bambino c’è la ricerca sana di uno sguardo. Da grandi questa ricerca di uno sguardo può invece diventare patologica e narcisistica. Molti di noi esistono solo se vengono ammirati dal mondo. Pensiamo ai social. Se non veniamo guardati, non siamo nessuno. Non esistiamo. Poi però c’è un livello più profondo dello sguardo. Noi esistiamo davvero soltanto nel momento in cui qualcuno si prende cura di noi. Quando qualcuno ci guarda come non ci aveva guardato nessun altro prima. Noi esistiamo nello sguardo d’amore di qualcuno che apre il suo cuore e le sue braccia verso di noi. Allora è come se fossimo dentro un nido, al caldo e al sicuro, rispetto ai pericoli del mondo di fuori.
L’empatia è la grande parola di questo secolo. In un mondo di odio, indifferenza, intolleranza, razzismo e violenza, l’empatia è l’ultimo baluardo, l’ultimo scudo, l’ultimo punto cardinale. Se perdiamo l’empatia, rischiamo di perdere la nostra umanità.
- Il richiamo della Natura: che rapporto hai da sempre con il paesaggio e l’ambiente circostante? E quale influenza ha sulle tue opere?
La natura è presente in quasi tutte le mie frasi. La natura è il luogo dove si manifesta l’invisibile. Per dirla con Spinoza: "Dio e natura costituiscono la stessa realtà". Dio è in un tramonto, ma anche nel fiordaliso che cresce in un campo di grano.
- Potere dell’immagine: se dovessi descrivere con una sola immagine l’aforisma in generale, inteso come concetto e come finalità intrinseca in esso, con quale lo identificheresti? E perché la scelta di tale immagine?
L’aforisma è il frammento che ha nostalgia del tutto. Quindi se dovessi descrivere l’aforisma con un’immagine, userei la tessera di un puzzle che cerca il disegno originario senza mai trovarlo.
- Influenze letterarie: esiste nelle tue opere qualche eco, richiamo in particolare legato ai libri che hai letto o studiato nel corso del tempo?
Ci sono influenze che riguardano lo stile e influenze che riguardano il modo di vedere il mondo. Nel primo caso metterei tutti gli scrittori di aforismi da La Rochefoucauld a oggi, con una menzione particolare per le greguerias "colorate" e "visive" di Ramòn Gòmez de la Serna. Sono loro che hanno contribuito a costruire la mia "scrittura breve".
Sul mio modo di vedere il mondo, invece, sono stato influenzato da autori "solitari" e "pieni di dolore", che nel dolore trovano la luce più bella: Cesare Pavese, Fernando Pessoa, Emily Dickinson, per citarne alcuni.
- Condivisione nell’Arte: scriveresti mai una storia “a più mani”? Se sì, con quale autore ti piacerebbe poter collaborare nella stesura di un libro?
Credo che non ci sia processo più privato e intimo della scrittura. Scrivere una storia a più mani mi sembra un atto contro natura. Non so come abbiano fatto Fruttero e Lucentini. Li guardo sempre con sospetto. Comunque, se proprio devo farlo, lo farei con una scrittrice femminile. Le donne sono più collaborative, generose ed empatiche degli uomini.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista allo scrittore Fabrizio Caramagna: quando l’aforisma diventa una culla per le proprie emozioni
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