Francesca Diotallevi, L’ultimo mago (Neri Pozza, 2024)
“La scrittura è una forma di magia” afferma Francesca Diotallevi nelle pagine de L’ultimo mago e i suoi libri, in effetti, ne sono pervasi.
Sin dal magnifico esordio con Le stanze buie (Mursia, 2013, poi riedito da Neri Pozza) la scrittrice è riuscita a comporre un mondo letterario profondamente riconoscibile in cui, con un stile raffinato, quasi ottocentesco, vengono a delinearsi atmosfere liriche al confine tra realtà e immaginazione, dove a far da padrone è soprattutto l’umano, con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti. Con Dentro soffia il vento (Neri Pozza, 2016), una storia ambientata tra le montagne della Val d’Aosta ai tempi della Grande guerra, Diotallevi nel 2015 ha vinto la seconda edizione del “Premio Neri Pozza Giovani”: il libro era dedicato alla comunità nomade degli zingari stagnini che, “a forza di essere vento”, perirono in una tempesta di neve sulle cime innevate valdostane.
La riconferma è arrivata nel 2018 con Dai tuoi occhi solamente, candidato al Premio Strega, romanzo dedicato a una creatura sfuggente quanto irresistibile, la fotografa Vivian Maier, una sorta di risarcimento postumo a una vita vissuta nell’ombra che merita di essere riscoperta e amata. Ora Francesca Diotallevi è tornata in libreria con un’altra grande storia: L’ultimo mago (Neri Pozza, 2024) in cui pone al centro la persona di Gustavo Rol, sensitivo e illusionista, una delle figure più enigmatiche del Novecento, lasciandone intatto il mistero. Il protagonista del romanzo è Nino Giacosa, un uomo in fuga da sé stesso che si propone di scrivere la storia di Gustavo Rol per liberarsi da una sensazione annichilente di fallimento: ma, mentre vorrebbe svelare il mistero di Rol e in qualche maniera smascherarlo per guadagnare quattrini, Nino si trova a fare i conti con la parte più buia del suo essere, con il proprio trauma di reduce e con un amore mai dimenticato.
Come in tutti i libri di Francesca Diotallevi, anche L’ultimo mago in fondo è una storia di fantasmi in cui la magia non è altro che quella polvere dorata posta sulla superficie per mantenere intatto un senso impalpabile di stupore mentre si procede in una lettura travolgente, quanto avventurosa, che infine ci rivela che niente è come sembra. “Il trucco c’è sempre, anche quando non si vede”, dice un detto popolare; ma uno scrittore, come ci insegna Francesca Diotallevi in quest’ultimo libro, “non nega mai l’esistenza della magia, perché ne riconosce il valore”.
Ne abbiamo parlato con l’autrice in questa intervista.
- Un sensitivo, un prestigiatore, un mago, che però non amava definirsi tale. Gustavo Adolfo Rol è stato un grande enigma del Novecento, oggi forse è ancora poco conosciuto. Si definiva addirittura “la grondaia di Dio”. Come hai scoperto Gustavo Rol e quale aspetto ti ha affascinata di questo personaggio portandoti a scriverne?
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In realtà lui era un personaggio che io già conoscevo da tanti anni, perché sono sempre stata legata alla città di Torino e soprattutto ai suoi aspetti un po’ più esoterici e in questo Rol è uno dei personaggi più emblematici. Però, devo essere onesta, non mi è mai venuto in mente di scriverne, anche perché onestamente mi sembrava un personaggio fuori dalla mia portata, troppo avvolto nel mistero.
Un giorno, mentre parlavo con il mio editor, lui me l’ha proposto come una sfida: scrivere un libro su Gustavo Rol. Quindi da quel momento ho iniziato a fare delle ricerche più approfondite e mi sono appassionata sempre più alla sua storia. Mi sono resa conto che raccontare Gustavo Rol non significava necessariamente scrivere la verità su di lui, dunque se fosse o non fosse “un vero mago”, ma potevo farlo mantenendo intatto il suo mistero. E per fare questo mi serviva un altro protagonista; mi sono resa conto che non poteva essere lo stesso Rol a raccontarsi. La parte più difficile è stata proprio trovare la voce narrante, che è poi Nino Giacosa, uno scrittore che cerca di scrivere la sua storia.
- In occasione del lancio del libro hai detto che prima di scrivere questo romanzo sei stata impegnata in lunghe ricerche, durate circa due anni. Come studiosa che idea ti sei fatta dei poteri di Rol? Anche la tua reazione è stata passare dallo scetticismo allo stupore come il protagonista Nino Giacosa?
Dal pensiero iniziale del libro alla scrittura sono passati effettivamente due anni. Sono stati proprio due anni di ricerche, di letture, di studio, ma anche un po’ di false partenze. Non riuscivo a trovare la voce narrante, a calibrarla: Nino Giacosa non è nato subito come Nino Giacosa, ha avuto un vario numero di predecessori, altri nomi, altri ruoli. Trovare la voce narrante è stata per me la parte più difficile di questo romanzo.
Riguardo ai prodigi di Rol: allora, ci sono delle cose di Rol che secondo me sono vere, altre a cui invece faccio veramente fatica a credere. Però in realtà il mio percorso è stato un po’ diverso da quello di Nino, perché, al contrario di lui, mi sono subito resa conto che quello che era importante sapere non era se Rol fosse davvero un mago. Penso che quello che lui ha regalato alle persone vada al di là di questo aspetto. Lui ha dato la “magia” alle persone, ovvero la capacità di restare stupefatte, di credere nell’impossibile.
- Quale dei prodigi di Rol ti ha colpito di più?
Forse quelli che ho scoperto in seguito, nel corso di diverse presentazioni del romanzo, quando ho conosciuto alcune persone che erano state in contatto con Rol. Mi sono accorta che lui aveva donato a queste persone una speranza. Una ragazza mi ha raccontato che Rol le ha lasciato un foglietto con scritta una frase, consigliandole di usarla soltanto nel momento peggiore della sua vita. E lei è ormai da trent’anni che si porta questo foglietto in tasca e non lo vuole mai usare, perché ogni volta pensa “non è ancora il momento peggiore” e teme di sprecarlo. La frase di Rol è diventata per lei un po’ come un amuleto, un talismano protettivo. Questo secondo me è un “pensiero magico” meraviglioso.
- Rol ha avuto molti ammiratori, ma anche molti detrattori: secondo te quali prevalevano e perché?
Nessuno, anche nel corso delle presentazioni, mi ha mai parlato di Gustavo Rol come di un personaggio negativo o un individuo losco. Era un personaggio che indubbiamente aveva dei lati oscuri; ma in realtà questo aspetto non emerge mai quando parlo con la gente che l’ha davvero conosciuto. Quindi non è importante sapere se lui questi poteri li avesse veramente, perché comunque quello che ha donato agli altri è tanto. Tra i suoi detrattori c’erano soprattutto persone appartenenti al mondo della scienza, ma anche all’ambiente degli illusionisti: pensiamo, ad esempio, al mago Silvan che lo accusava di non ammettere di essere un “prestigiatore” e di ingannare la gente con i suoi trucchi. Però Rol in fondo non imbrogliava le persone, perché non ha mai chiesto compensi, non ha mai fatto nulla con degli scopi loschi o per vendere “false verità”.
- La correlazione tra scrittura e magia viene ripresa più volte nel romanzo. “Un vero scrittore non rinnega mai l’esistenza della magia”, dice il mago Cornelio allo scettico Nino. Come scrittrice cosa ne pensi della magia? Ti sei mai trovata a contatto con qualcosa di “magico”?
Per me i libri sono pura magia: pensa che tu tieni in mano un involto di carta, a ben vedere, ma lì dentro ci sono dei mondi che per te sono dei mondi reali, che fanno parte dei tuoi ricordi come se fossero la tua vita vera. In verità sono cose che hai solo immaginato, però le hai immaginate in maniera così vivida che ormai fanno parte di te.
Come scrittrice non credo molto nel soprannaturale, anche se è una cosa che mi affascina. Credo, però, che non esistano le coincidenze, che non esista il caso, che ci sia un destino che ci porta in certi luoghi, o a fare certe scelte. Credo che ciascuno di noi abbia una strada e che le varie tappe di questa strada siano, in qualche maniera, predestinate per un motivo. Non so come spiegarlo, però penso che ci sia un “momento giusto” per tutte le cose.
- “L’ultimo mago” è, in fondo, la storia di Nino, il libro che lui cerca di scrivere per dare un senso alla sua vita. Gli scrittori ritornano spesso nelle tue storie: anche Frank in Dai tuoi occhi solamente era uno scrittore. In una precedente intervista hai raccontato di aver scritto il tuo primo romanzo, Le stanze buie, in un periodo difficile in cui desideravi essere altrove. Quale significato ha per te la scrittura?
È una cosa che mi affascina molto: il ruolo della scrittura, cosa significa scrivere, il modo in cui la scrittura ti salva, però ti tormenta anche. Io sento molto questa ambivalenza quando scrivo. Quando ho scritto il mio primo libro, Le stanze buie, non avevo l’idea di pubblicarlo, pensavo che mai nessuno mi avrebbe calcolato in quanto esordiente. L’ho scritto perché mi ero laureata da poco in Beni culturali e avevo trovato un lavoro che non aveva a che fare con quello che avevo studiato, un lavoro che non mi piaceva e quindi mi faceva molto soffrire. Facevo le pause pranzo fuori dall’ufficio come per fuggire a un tormento, ed è così, mentre camminavo per Milano d’inverno, che mi è venuta l’idea di scrivere Le stanze buie. Era diventato il mio rifugio, mi permetteva di scappare dal mondo reale che non aveva soddisfatto nessuna delle mie aspettative. E mi rendo conto che questo sentimento si rispecchia nel personaggio del maggiordomo, Vittorio Fubini, come anche in Nino Giacosa, il protagonista de L’ultimo mago che cerca di scrivere la “grande storia” per sfuggire a un presagio di fallimento. Inconsciamente il mio stato d’animo si riflette nei personaggi di cui scrivo: Vittorio è chiamato a fare un lavoro che non gli piace, in una casa isolata in campagna; mentre Nino, come me quando iniziai a lavorare a L’ultimo mago, vive un momento di “crisi creativa”, vuole disperatamente scrivere, ma sa che senza una “buona storia” non andrà da nessuna parte...
- La relazione tormentata tra Nino e Miriam mi ha ricordato quella tra il maggiordomo Vittorio e Lucilla Flores narrata nel tuo primo romanzo, Le stanze buie. I personaggi, a tratti, mi sono apparsi speculari per certe caratteristiche. Gli amori nei tuoi romanzi sono sempre infelici, legati a una sorta di impossibilità...
Penso di amare molto gli amori infelici come lettrice e che questo poi si rifletta anche nei miei libri. Gli amori infelici non finiscono mai e sono quelli che poi ti straziano l’anima perché resistono per sempre. Trovo questo aspetto molto romantico.
Il mio romanzo preferito in assoluto è Jane Eyre in cui, a ben vedere, ritornano anche molte atmosfere che richiamo nei miei libri: l’amore contrastato o impossibile, il fantasma che non è un fantasma ma una persona reale, le “stanze buie”, l’ombra del passato che incombe sul presente. Ci sono poi delle tematiche che, come scrittori, ci perseguitano.
- Di Gustavo Rol viene lasciato intatto il mistero, forse davvero inspiegabile, hai scelto di raffigurarlo soprattutto come essere umano, togliendogli l’aura di profeta di cui si era ammantato. A un certo punto lo descrivi come un uomo che si era cucito addosso “un personaggio come un’ombra”. Dobbiamo quindi distinguere tra il “Rol persona” e il “Rol mago”?
Il mio intento con questo libro era mostrare com’era Gustavo Rol quando nessuno lo vedeva, dunque chi era veramente. Mi ha colpito che nei suoi scritti privati lui lamentava molto il fatto di sentirsi solo, incompreso, nonostante avesse attorno schiere di persone disposte ad adorarlo. C’era in lui questa idea di non essere stato capito dagli altri, di non essere stato mai visto veramente.
C’è una bella frase, che io tengo a mente ormai da dieci anni, la lessi su un manuale di Storia medievale all’università, diceva così: “Ma un vestito rosso è ancora rosso quando nessuno lo guarda?”. Perché nel Medioevo si credeva che i colori non fossero veramente propri degli oggetti, ma fossero custoditi negli occhi di chi guardava. Questo discorso, in parte, torna anche nel romanzo che ho dedicato a Vivian Maier, cioè: le cose sono veramente quello che sono, oppure siamo noi, col nostro sguardo, ad attribuire loro un significato?
- Tra l’altro ci sono alcune caratteristiche che accomunano Rol a Vivian Maier, protagonista di un altro tuo bellissimo libro Dai tuoi occhi solamente (Neri Pozza, 2018). Entrambi cercavano, in qualche modo, di restare nell’ombra: Gustavo Rol non vuole che venga scritto di lui, così come Maier non vuole esporre le sue foto al pubblico. È questo l’aspetto che ti affascina come scrittrice? Il fatto che siano figure, da un certo punto di vista, sfuggenti e inenarrabili?
È vero, Gustavo Rol e Vivian Maier sono due personaggi simili, in effetti. C’è questa particolarità poi, di cui mi sono resa conto quando il libro era ormai già andato in stampa: io ho ambientato L’ultimo mago nel 1959, proprio l’anno in cui Vivian Maier si trovava a Torino e in cui ha scattato delle bellissime foto della città. Io avevo visto queste foto, tra l’altro, in una bellissima mostra; però non mi sono resa conto di questa coincidenza finché il libro non è stato pubblicato. Ripensandoci ora, sarebbe stato bello aggiungere una scena in cui Vivian Maier e Gustavo Rol si incontrano o, magari, si sfiorano appena passandosi accanto. La donna che non vuole essere vista che pensa di fotografare l’uomo che non vuole essere fotografato.
- “Il passato non si dimentica”, questa frase ritorna come un tarlo nei tuoi romanzi dove i protagonisti si trovano spesso a fare i conti con qualcosa che vorrebbero dimenticare e li tormenta. Tutta la letteratura, in fondo, è una storia di fantasmi?
È un tema che indubbiamente mi affascina: il passato che ritorna. Forse deriva sempre da Jane Eyre, in cui c’è la moglie di Rochester che di notte vaga per la casa e tutti sono terrorizzati dai lei come se fosse un fantasma, mentre è una persona vera.
Penso che l’impatto di questa scena letteraria sia stato molto forte sul mio immaginario. Secondo me la letteratura ha che fare con i fantasmi, come tutto quello che è incompiuto, inespresso ed è poi quello che davvero resiste nella memoria.
Alla fine il fantasma chi è? È qualcuno che torna per rendere conto di qualcosa che non è stato risolto. I miei libri in effetti sono sempre un tentativo di sciogliere questo nodo.
- C’è una frase enigmatica pronunciata da Rol che mi ha colpito: “Il più lo imparerai da solo”, è la sua lezione e, al contempo, è ciò che ha appreso. Secondo te cosa significa?
Penso che tutti noi, in fondo, abbiamo qualcuno o qualcosa che ci indica la strada. Ma in quella strada, alla fine, ci dobbiamo camminare da soli. C’è una frase bellissima di Edgar Allan Poe che dice: “Tutto quello che ho amato l’ho amato da solo”, And all I loved - I’ve loved alone. Per me è una verità che appartiene a tutti, perché, per quanto possiamo essere circondati da gente, da amici, alla fine siamo tutti soli dentro la nostra testa e tutte le cose che ci ostacolano nella vita le attraversiamo da soli.
- Hai già in mente la trama del tuo prossimo libro?
Un’idea c’è, ma al momento sono troppo impegnata con le presentazioni, questo non è un momento molto riflessivo. Serve calma per scrivere.
- Come scrittrice quale momento preferisci: la solitudine della scrittura, oppure il confronto con i lettori?
Direi entrambe le cose. Siccome sono una di quelle persone “mai contente”, quando sono chiusa in casa a scrivere sogno le presentazioni, mentre quando sono impegnata nella promozione del libro sogno il momento di solitudine della scrittura. Penso sia una sensazione comune a molti.
Recensione del libro
L’ultimo mago
di Francesca Diotallevi
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Francesca Diotallevi, in libreria con “L’ultimo mago”: “La scrittura è una forma di magia”
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