Mariano Sabatini, nato a Roma nel 1971, fa il giornalista e scrive per quotidiani, periodici e web. In passato è stato autore di programmi di successo per la RAI, TMC e altri network nazionali, ha condotto rubriche in radio e oggi è molto presente sulle maggiori emittenti come commentatore. Ha scritto diversi libri. “L’inganno dell’ippocastano” (Salani, 2016) è il suo primo romanzo: in seconda edizione dopo due settimane dall’uscita, si è aggiudicato il Premio Flaiano e il Premio Romiti Opera Prima 2017. È da poco in libreria “Primo venne Caino” (Salani, 2018), accattivante thriller con protagonista ancora una volta Leo Malinverno, giornalista romano dal fiuto finissimo. In queste pagine l’affascinante Malinverno dovrà vedersela con uno spietato e temibile serial killer, il cui nome è tutto un programma: il Tatuatore.
“Invisibile era, invisibile voleva rimanere”.
In quest’intervista Mariano Sabatini ci presenta il suo nuovo romanzo.
- “Primo venne Caino”. Mariano, vuoi chiarire il significato del titolo del romanzo?
Direi di no… non vorrei e non lo faccio per non guastare la sorpresa a chi leggerà. Posso dire solo che Caino è l’incarnazione del male nella simbologia cattolica, nei racconti biblici e ormai nell’immaginario comune. Ma il significato preciso del titolo è intrecciato alla trama. Il romanzo è la storia atroce di un serial killer che uccide persone tatuate per asportare loro i lembi di pelle effigiata, è animato da una forza antica, difficile da comprendere, anzi senza nessuna possibilità di comprensione che non sia interna al male stesso. Da qui la definizione di thriller che Salani ha voluto apporre sulla copertina.
- Per la stesura della trama hai tratto ispirazione da un fatto di cronaca nera in particolare?
Tanti e nessuno. Più che altro mi sono affidato ai testi scientifici sui delitti seriali. Di solito l’obiezione è che in Italia questo tipo di delitti non si compie… sbagliatissimo. Ci sono stati serial killer che hanno agito indisturbati per anni, vedi il cosiddetto Mostro di Firenze, e ce ne sono ancora a piede libero. Il fatto che siano a riposo o quiescenti, al pari di un vulcano, non vuol dire che siano meno pericolosi. Anzi, appena le difese si abbassano o si distraggono, di solito tornano a colpire. Leo Malinverno stavolta è alle prese con uno di questi.
- Leo Malinverno è un uomo scaltro e ironico, famoso per le sue inchieste scomode. Se la tua creatura di carta diventasse il protagonista di una serie televisiva, quale attore italiano saprebbe meglio interpretare la personalità del sagace giornalista?
Ormai lo sanno anche all’asilo… Quando ho terminato il romanzo, mi sono chiesto chi potesse dare un volto a Leo Malinverno, la risposta che mi sono dato è stata Luca Argentero. Per qualità recitative, umane e, perché no, estetiche. Malinverno, non dimentichiamolo, apprezza le donne ed è ampiamente ricambiato da loro. Argentero ha letto e apprezzato il romanzo e ora attendo cosa mi dirà del secondo. E poi aspetteremo che un produttore intelligente concretizzi i sogni.
- Che tipo di Roma è quella che fa da sfondo alle vicende narrate?
L’errore più grande che si potrebbe compiere ambientando un romanzo a Roma, una città che ne contiene almeno una ventina provinciali di medio-grandi dimensioni, sarebbe di pretendere l’esaustività da se stessi. Presuntuoso e pretestuoso, anzi velleitario oltre che ingenuo. Io racconto la mia Roma, per come l’ho assorbita in 46 anni di vita, di rapporto venato di amore-odio. Una grande metropoli quotidianamente insultata dal malgoverno che deve subire e soprattutto avvilita dall’incuria dei cittadini, del tutto irriconoscenti nei confronti del luogo che ogni giorno li ricolma di bellezze e orgoglio. Roma è soprattutto la sua storia ma questa storia si disgrega inesorabilmente, giorno dopo giorno, pezzo a pezzo.
- Mentre scrivi, hai in mente un grande giallista del passato o attuale come ideale riferimento?
Mentre scrivo, ho l’impressione di riversare sulla pagina la mia esperienza di lettore, lunga, articolata, imperniata sulla ricerca del piacere puro. Ovviamente ho letto Simenon, Christie, Conan Doyle, Chandler, Fruttero e Lucentini, Olivieri, Camilleri, Lanza, Vichi, Varesi, de Giovanni, Gori, Bucciarelli, Ingrosso, Perissinotto… e più di recente Divier Nelli, bellissimo il suo “Il giorno degli orchi”, Giada Trebeschi, Romano De Marco… Imparo da tutti, soprattutto il ritmo e la temperatura delle storie, e ovviamente la lista si potrebbe allungare a dismisura. Ma mi sforzo anche di rimanere me stesso, forse per questo mi sono arrivati tra capo e collo due premi prestigiosi e inattesi, il Romiti e addirittura il Flaiano.
- Carlo Fruttero considerava Georges Simenon un grande scrittore senza aggettivi per la concretezza della sua scrittura. C’è oggi nel panorama letterario di casa nostra un Simenon italiano?
Ho conosciuto Fruttero, minuto, fragile ma non debole. Aveva ragione, non mi piacciono le definizioni. Flaiano ha scritto “Tempo di uccidere” che oggi sarebbe classificato come noir, possiamo definirlo un giallista? Fruttero & Lucentini erano giallisti? Esistono i narratori, capaci e meno capaci, con qualità di scrittura più o meno alta, curata, raffinata… Solo il tempo può garantire il passaggio dalla narrativa alla letteratura. Non so se esista un Simenon italiano. Camilleri è molto diverso da Simenon, ma scrive tanto, romanzi diversi, e raggiunge un pubblico molto vasto. Forse lui un po’, tirandolo per i pochi capelli, si avvicina alla figura dello scrittore francese. Non so però a cosa serva stabilirlo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Mariano Sabatini che presenta “Primo venne Caino”
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