Rosalia Messina nata a Palermo nel 1955, vive in giro per l’Italia: gli affetti e il lavoro la portano da Bologna a Milano, a Napoli e in Sicilia. Laureata in Giurisprudenza, svolge una professione giuridica che le consente di fare quotidianamente due delle cose che ha sempre amato di più: leggere (non solo libri e articoli giuridici) e scrivere. Ma scrivere di Diritto a un certo punto non le è bastato più, così, in età matura, ha realizzato il vero sogno della sua vita, cioè scrivere narrativa.
Ha pubblicato nel 2010 la raccolta di racconti “Prima dell’alba e subito dopo” (PerroneLab e, in versione e-book, Youcanprint) testo vincitore, fra l’altro, del premio Città di Mesagne 2010 e, nel 2013, due romanzi brevi: “Più avanti di qualche passo” (Città del sole) - vincitore del premio Angelo Musco 2012 come inedito e del premio Città di Reggio Emilia 2013 da edito - e “Marmellata d’arance” (Arianna) vincitore del premio Metauros 2016. Nel 2014 ha pubblicato il romanzo “Gli anni d’argento” (Algra Editore); nel 2015 il libro per bambini “Favole a colori” (Algra Editore) e nel 2016 il romanzo “Morivamo di freddo”, edito - in digitale e in cartaceo - da Durango Edizioni. La versione teatrale del romanzo “Marmellata d’arance”, realizzata con la sorella Anna, ha vinto il premio L’Artigogolo 2017, sezione Drammaturghi esordienti (il testo sarà pubblicato nei prossimi mesi, in forma monografica, dalla casa editrice Chipiuneart).
Ha collaborato con i magazine on line Libreriamo e LetteraTu. È da poco in libreria il suo nuovo libro, “Uno spazio minimo” (Melville Edizioni 2017, collana Ghiaccio Nove, postfazione di Enrico Caruso, pp. 170, euro 16,50), perfetto ritratto, a più voci, di una famiglia italiana, vista attraverso le vicende della protagonista, Angelica Alabiso che si muove nell’Italia che va dal boom economico degli anni Sessanta fino al 2010.
“I pensieri sono tutti miei e non può controllarli nessuno, nemmeno la mamma, nemmeno la maestra”.
Conosciamo meglio il nuovo libro di Rosalia Messina in quest’intervista.
- Rosalia, desidera chiarire il significato del titolo del romanzo?
“Uno spazio minimo” allude, metaforicamente, a diverse cose: alla ricerca di una collocazione di sé nel mondo, ricerca che inizia molto presto nella vita di ognuno e continua fino alla vecchiaia; alla ricerca di spazi in cui gli esseri umani si rifugiano, per sperimentare dimensioni emotive soddisfacenti; alla ricerca di uno “shelter from the storm”, come dice una vecchia, amata canzone di Bob Dylan. Allude anche, più concretamente, al bisogno di Angelica Alabiso di non essere troppo ingombrante, troppo visibile: più volte nella sua storia ricorrono episodi in cui emerge l’esigenza di non dare troppo nell’occhio, di non richiamare eccessiva attenzione su di sé. E allude anche a uno spazio fisico, a un luogo preciso che nella storia ha un rilievo centrale... e non direi di più. Insomma, si tratta di un titolo che gioca con diverse possibilità di significato e lascia al lettore la scelta di quello che gli risulta più congeniale.
- Il volume è autobiografico?
Di autobiografico, in questo come in altri miei romanzi (in tutti, direi), c’è l’ambientazione siciliana, l’atmosfera. Poi è anche vero che mi piace mescolare alle mie invenzioni ingredienti tratti dalla mia esperienza: tratti del carattere di questo o quel personaggio, per esempio, possono essere rubati a persone vere, conosciute bene o incrociate per caso e per un breve momento ma che, come può accadere, hanno aperto una finestra sul proprio mondo interiore o sulla propria storia. Insomma, una storia viene costruita di solito mescolando vero e inventato, su un fondale riconoscibile (una città, con le sue strade, le sue piazze, il suo clima, il cosiddetto colore locale) si muovono personaggi inventati che assomigliano in qualcosa a persone vere: un dettaglio fisico, un tic verbale, un episodio reale trasfigurato... Tutte le storie, in fondo, sono liberamente ispirate alla realtà.
- “Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. È l’incipit di “Anna Karenina” di Lev Tolstoj, capolavoro della letteratura russa. Concorda?
Concordo, altroché! La felicità è difficile da raccontare proprio perché non ci sono tanti modi di essere felici: l’appagamento, per quel poco che dura, è privo di sfumature. L’infelicità - dei singoli come dei gruppi - è molto più variegata, sia dal punto di vista eziologico, sia dal punto di vista delle manifestazioni. Ci sono dolori che fanno impietrire, che fanno sciogliere in pianto, dolori urlati e muti. Ci sono famiglie in cui l’ostilità circola sotterranea, abita nel non detto; e altre in cui i conflitti sono esplosivi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Rosalia Messina che presenta il suo nuovo libro
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