Classe 1983, romano, Tommaso Agnese ha conseguito la laurea in Storia e critica del cinema. Come creative producer per diverse società di produzione, si occupa dello sviluppo progetti e della supervisione di serie TV. Attualmente è managing director della società internazionale di distribuzione cinematografica "Direct to Digital" e presidente del magazine cinematografico “Fabrique Du Cinéma”.
Regista e sceneggiatore, ha sempre coltivato la sua passione per la scrittura, pubblicando nel 2017 il suo primo romanzo Diario erotico di un cybernauta e, nel 2021, Apocalisse di un Cybernauta.
Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo terzo libro, Un uomo ordinario, un thriller in cui racconta la vicenda di Lino, giovane introverso, dalla personalità problematica.
Analista in una grande banca milanese, concentrato esclusivamente su numeri e previsioni, è un “uomo invisibile” di cui nessuno sembra accorgersi.
Almeno fino a quando non viene incastrato e accusato di un efferato omicidio.
Ne abbiamo parlato con Tommaso Agnese in questa intervista.
- Negli ultimi tempi, si stanno affermando sempre più scrittori che hanno una formazione da sceneggiatori: come spieghi questo fenomeno e quale apporto può dare alla narrativa un background di questo genere?
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Le risposte potrebbero essere molteplici. Da una parte, ci potrebbe essere il calo delle produzioni audiovisive che porta molti sceneggiatori a riconvertirsi; dall’altra, sicuramente, la possibilità per uno sceneggiatore di ampliare la propria struttura narrativa in quella di un romanzo, che permette di analizzare più in profondità una storia.
Di certo, quello che un background di scrittura cinematografica può dare è un incremento del ritmo narrativo e dell’utilizzo del dialogo come strumento centrale di un racconto.
- Quali sono le peculiarità dei diversi generi in cui ti sei cimentato - cinema, televisione, teatro, narrativa? E quale credi sia la modalità espressiva che più ti confà?
Se devo essere sincero, la narrativa mi piace moltissimo, ho tantissime idee e progetti già iniziati per il futuro. A pari merito metto la drammaturgia teatrale e il teatro, che mi dà delle emozioni reali, incredibili e impossibili da ottenere con altri mezzi.
Poi, ovviamente, il mio amore per il cinema, che influenza ogni mia creazione, anche se come scrittura è sicuramente più complessa. All’ultimo posto, la televisione: non ho più molta passione per la televisione, vittima dei broadcaster, dove la creatività e la libertà vengono quasi sempre piegati a valori commerciali.
- Per entrare nel merito di Un uomo ordinario, nei ringraziamenti racconti la genesi di questo romanzo: quali sono i punti di forza di un percorso che è inverso rispetto a ciò che succede normalmente, ovvero, dal libro viene tratto il film o la serie TV?
In realtà il percorso è a metà. Nasce come serie, poi diventa romanzo e potrà tornare a essere una serie. Nonostante il progetto di serie si sia bloccato, non mi sono fermato: credevo nel potenziale del racconto e non potevo non decidere di approfondirlo in un romanzo.
- Il libro è stato presentato sotto forma di spettacolo teatrale: com’è avvenuto questo ulteriore passaggio?
Essendo un amante del teatro, ho pensato che sarebbe stato bello vedere i miei personaggi prendere vita in scena, presentare il mio protagonista Lino in carne ed ossa su un palco. Lo avevo già fatto con il precedente romanzo ed era stato un importante successo. Ho voluto replicare, perché secondo me il futuro è transmediale.
- La letteratura e la filmografia sono ricchi di personaggi ingiustamente accusati di un crimine: ti sei ispirato a qualcuno in particolare per il tuo Lino?
Assolutamente sì, al protagonista di Fuori Orario di Scorsese, a quello della serie The night of, per non dimenticare I sogni segreti di Walter Mitty, tutti antieroi, che diventano eroi per caso.
- I protagonisti hanno alle spalle situazioni personali o famiglie problematiche: puoi descrivere il rapporto di Lino con la madre? Ho apprezzato il fatto che sei riuscito a suscitare anche il sorriso, per l’ingenuità con cui alcuni ricordi, come gli uomini frequentati dalla madre, vengono descritti.
Lino è stato cresciuto da una madre autoritaria e possessiva, lo ha educato all’ubbidienza, al rispetto delle regole e a una certa asocialità. Soprattutto nel rapporto con le donne, la madre lo ha costantemente scoraggiato, per paura di perdere l’unico uomo della sua vita, suo figlio. Per questi motivi Lino è sempre rimasto al suo posto, sentendosi in colpa per le sofferenze patite dalla madre, immaginando che il suo scopo nella vita fosse esclusivamente quello di aiutarla. Faccio percepire il rapporto perverso che la madre aveva creato con il figlio, lei che non disdegnava le attenzioni di molti uomini, ma poi finiva sempre per soffrire.
E la sofferenza è ciò di cui Lino ha più paura: è ciò che non lo fa uscire mai dalla sua comfort zone, fino a quando l’ordinario non si trasforma in straordinario.
- Parlaci di Martina, a metà strada fra Eva Kant e Lisbeth Salander…
In realtà Martina è una guerriera che nasconde un segreto che la rende anch’essa vittima. Il personaggio è ispirato a mia sorella, che ha una forza incredibile e nella sua vita ha affrontato mille avversità. Testarda e caparbia, Martina ha una sua personale visione del mondo, forse anarchica, sicuramente contro lo stato, che le ha dato solo dei grandi dispiaceri, e trova in Lino una valvola di sfogo della sua rabbia.
- Criminalità organizzata e poteri forti occulti si contendono la supremazia. Nel mezzo, le forze dell’ordine rimangono un po’ defilate: è solo una questione di opportunità rispetto alla trama che hai voluto sviluppare?
Volevo raccontare tutta la storia dal punto di vista del protagonista, che diventa a tutti gli effetti un fuggitivo e si ritrova ad attraversare il mondo della criminalità, tutto il resto rimane fuori. La giustizia, la polizia, le forze dell’ordine sono distanti, un eco in lontananza.
- Spesso le scelte dei lettori sono dettate dal desiderio di evasione. Fino a che punto la tua scrittura, che affronta anche temi importanti che vanno al di là dell’intreccio investigativo, è influenzata da questo sentire?
Ho sempre scritto e raccontato il desiderio di evasione. Come nei miei precedenti scritti letterari e teatrali, i miei personaggi sfuggono dalla loro ordinarietà cercando “qualcos’altro” che li faccia sentire meglio o semplicemente che li catapulti in mondi diversi e nuovi, perché la diversità è ciò che ci spaventa di più, ma ci fa anche cambiare, migliorare ed è ciò di cui siamo estremamente curiosi.
Nel caso di Lino, questa evasione non è voluta, ma porta comunque a un cambiamento. E proprio mettendo un uomo ordinario in questa situazione, il desiderio di evasione, la curiosità del lettore e il suo immedesimarsi in questa folle fuga diventa estremamente potente.
- Per concludere, di cosa ti stai occupando in questo momento?
Attualmente sto lavorando a due spettacoli teatrali scritti da me e a un nuovo romanzo. Il mio prossimo spettacolo, L’amore è come un brodo di giuggiole, è una storia d’amore tra due persone incompatibili che nascondono segreti: un ragazzo di periferia e una ricca borghese, in una commedia amara.
Poi, lo spettacolo successivo, Il professionista, è la storia di un killer che per amore decide di cambiare la propria vita. Alla fine, però, perde tutto quello che ha ed è costretto a rimettersi in attività, senza tuttavia essere più quello di un tempo.
E infine, il mio nuovo romanzo, che avrà una gestazione lunga, si intitola L’odio e racconta la storia di un uomo di mezz’età che odia qualsiasi cosa e vive sbeffeggiando la gente, fino a che un’inaspettata avventura lo farà cambiare completamente.
Recensione del libro
Un uomo ordinario
di Tommaso Agnese
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Tommaso Agnese, in libreria con “Un uomo ordinario”
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